Senza paghe dignitose non si cresce
Il governo fa il suo mestiere e dice che va tutto bene. I numeri dipingono una storia meno gloriosa. Nel mirino di sindacati e opposizioni il part time involontario e i contratti brevi, ma lo scontro brutale è sul salario minimo


Per sciogliere il nodo del lavoro fragile e dei salari poveri basterebbe applicare la regola aurea vecchia di secoli, affermata da Aristotele a papa Francesco, passando per Adam Smith e Mario Draghi, secondo cui «non c’è sviluppo senza etica».
Bisognerebbe insomma che, come scriveva Luigi Einaudi nel primo dopoguerra, chi offre un impiego sia consapevole che il suo reddito non può fondarsi sullo sfruttamento, perché in questo modo non contribuisce al benessere diffuso di cui ogni impresa, come ogni società equilibrata, necessita per crescere in armonia.
«Il lavoro non può separarsi dall’idea di persona, dall’irriducibile unicità e dignità di ogni donna e uomo», ammonisce Sergio Mattarella. Ma la realtà è diversa. La realtà ci dice ogni giorno che le eccezioni sono molte, se non troppe. E i salari insufficienti, ricorda il presidente della Repubblica, «sono una grande questione per l'Italia».
Il governo fa il suo mestiere e dice che va tutto bene. I numeri dipingono una storia meno gloriosa.
È vero che dal luglio scorso gli occupati si mantengono oltre la soglia dei 24 milioni, dato positivo per il Paese. È anche vero che l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie in marzo è salito dello 0,4 per cento rispetto al mese precedente (+4% in dodici mesi). Ma le statistiche affermano che gli stipendi medi sono ancora l’8% sotto la fine del periodo pandemico e che il risultato è sganciato dalla lieve ripresa della produttività.
In questa fase di indeterminatezza globale, solo 9 italiani ogni cento superano i 40 mila euro di reddito annuo, mentre i giovani inattivi di età compresa fra i 25 e 34 anni sono il 16%, quasi triplo di quelli tedeschi. Infine, un cittadino su dieci è “povero” sebbene faccia qualcosa. È un dramma reso più amaro dagli oltre mille morti nel 2024 sul luogo del lavoro.
Tanto basta ai sindacati, e all’opposizione, per denunciare una situazione di precarietà diffusa e debolezza occupazionale nazionale.
Nel mirino sono il part time involontario e i contratti brevi, ma lo scontro brutale è sul salario minimo che non c’è.
L’Italia è uno dei sei Paesi dell’Ue senza: in Germania è di 2.161 euro al mese, in Francia di 1.801, in Spagna di 1.381, in Romania di 814. Si era parlato di una soglia a 9 euro l’ora, che porterebbe il compenso in una sfera non dissimile da quella tedesca e francese. Ma, mentre l’industria non ha mai opposto troppa resistenza, il governo lo nega con fermezza («uno specchietto per le allodole», secondo Meloni) e il sindacato non si è impegnato con sufficiente entusiasmo, anche per paura di essere disintermediato.
Gli economisti concordano che un assegno minimo garantirebbe i più deboli, in particolare nei settori più a rischio, come i servizi (bar e ristorazione) che, fra l’altro, stanno sostenendo la crescita italiana. Dicono anche che già far rispettare le regole sarebbe un passo avanti, perché spesso le violazioni avvengono alla luce del giorno.
La sicurezza è centrale, così il rispetto dei contratti. E anche «le questioni salariali – richiama Mattarella - sono fondamentali per la riduzione delle disuguaglianze, per un equo godimento dei frutti offerti dall’innovazione, dal progresso».
Regole e salari, si ripete ogni Primo Maggio e non si dovrebbero fermare qui né il governo, né le imprese. Uno sviluppo stabile richiede etica, si diceva, e il lavoro esige fatti. Perché l’incertezza uccide e le promesse non pagano il fornaio.
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