Così il lavoro fa i conti con il clima
Ordinanze per proibire i lavori all’aperto nelle ore più calde, incentivi economici per i rider, sospensione dei turni diurni nei capannoni industriali: alcuni esempi che ci fanno capire come il cambiamento climatico stia irrompendo in maniera prepotente nel mondo del lavoro


Le ordinanze per proibire i lavori all’aperto nelle ore più calde e così tutelare la salute della manodopera; l’ipotesi di incentivi economici per invogliare sudatissimi rider a inforcare la bicicletta (almeno elettrica, si spera) e consegnare, durante l’altrui pausa pranzo, pasti leggeri e bibite ghiacciate, opportunamente conservati nei cubi termici caricati in spalla; la sospensione dei turni diurni nei capannoni industriali dove il calore del processo produttivo si assomma a quello naturale esterno, diventando infine insopportabile; l’aumento dei costi di raffrescamento degli ambienti in cui le maestranze operano, tanto più se si considerano gli improvvisi e ormai ciclici rincari delle tariffe dell’energia: sono solo alcuni dei mille esempi di stretta attualità che ci fanno capire come il cambiamento climatico, e in questo specifico frangente il global warming, stia irrompendo in maniera prepotente anche sullo scenario del mondo del lavoro.
Non è più soltanto una questione di salvaguardia dell’ambiente e di riduzione, in prospettiva, delle emissioni inquinanti: industriali, capitani d’azienda, manager, sindacati, operai dovranno professionalmente sempre più tener conto della variabile climatica e dei suoi effetti sulla catena produttiva – a volte ancora sorprendenti e spiazzanti –, che non possono più essere considerati come mere variabili episodiche: i picchi d’afa che registriamo in questi giorni si verificheranno di nuovo, con regolarità. Tra una settimana, tra un mese, il prossimo anno e quello successivo.
Così capiterà anche con gli altri fenomeni meteorologici estremi che, purtroppo, abbiamo imparato a conoscere a nostre spese: grandinate violente, temporali improvvisi e devastanti, colpi di vento capaci di scoperchiare tetti e ribaltare camion, piogge torrenziali e conseguenti alluvioni, frane (chiedere al Cadore), il livello del mare che continua a crescere. Insomma, l’intero armamentario di disastri in qualche maniera collegato al clima impazzito. Eventi da cui sia i datori di lavoro sia i lavoratori, nessuno escluso, dovranno considerare e affrontare.
A Venezia un sindacato – la Cgil - ha attivato proprio ieri uno sportello informativo per l’emergenza caldo: niente di che, intendiamoci, solo un numero di telefono e un indirizzo email a cui l’operaio, il muratore, il cameriere, il giardiniere, il postino e così via possono rivolgersi per chiedere informazioni sulla normativa riguardante le alte temperature e segnalare irregolarità.
A Nord Est più di qualche imprenditore ha già provveduto a individuare in autonomia soluzioni tempestive per mitigare l’atmosfera rovente nei luoghi di lavoro e per proteggere i suoi dipendenti da colpi di sole o stress da calore.
Ebbene: è questa la direzione che, inevitabilmente, tutti gli abitanti del pianeta occupazione saranno obbligati, prima o poi, a seguire. Meglio prima, auspichiamo, così da non essere costretti a scalmanarsi in extremis: con questo caldo, non sarebbe il caso.
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