La sfida climatica: non c’è più tempo per l’immobilismo

Con temperature record e fenomeni estremi in aumento, solo un piano europeo ambizioso può fermare la catastrofe climatica. I cittadini devono spingere i governi a reagire ora

Marco ZatterinMarco Zatterin
Il più grande iceberg del mondo si trova al confine dell’Atlantico. Denominato con il codice A23a, va alla deriva dall'agosto 2022
Il più grande iceberg del mondo si trova al confine dell’Atlantico. Denominato con il codice A23a, va alla deriva dall'agosto 2022

Non è la voce di un «ricco eurocrate», nemmeno quella di un «pericoloso ambientalista». Che «la Terra sta cadendo in rovina» lo afferma (anche) papa Leone XIV, del resto basta scorrere le notizie delle ultime ore per trovare le temperature massime della storia in tutto il Vecchio Continente.

Possiamo chiederci se siamo contenti, se ci sta bene così, se siamo sereni per il futuro, se ci piacciano le alluvioni copiose e le violente grandinate fuori stagione, se l’aria che respiriamo è quella di cui abbiamo bisogno, se la plastica sulle spiagge e nel pesce che mangiamo sia compatibile con una vita sana. Possiamo rispondere «sì» e prenotare una poltrona per assistere inermi alla fine del mondo. Oppure possiamo dire che «no, così non va» e sfruttare la forza creativa che ognuno di noi porta in dote, cercando di non perdere la visione d’insieme, per affrontare la sfida climatica, più grande sciagura dall’ultima glaciazione, ovvero da 12 mila anni a questa parte.

L’unica risposta responsabile è una serie di rapide azioni nazionali concordate in un ambizioso quanto coerente piano, in primo luogo europeo, quindi globale. Bisogna riconoscere la tragedia e l’esigenza di un sacrificio per combatterla. Occorre farla finita con posizionamenti partitici poveri di dottrina che si alimentano su sgomenti anche giustificati, ma che non saranno in grado di rimettere il genio malefico nella lampada. Non ci saranno soluzioni a basso costo, anzi la bolletta diventerà sempre più salata col passare del tempo se si affermerà la «codardia politica» (copyright della commissaria Ue per le Transizioni, Teresa Ribera).

La via più breve è studiare uno o più antidoti basandosi sulle proposte europee che, in ogni caso, non diventeranno (e non sono mai diventate) disposizioni vincolanti senza il via libera dei capi di Stato e di governo dei Ventisette, dei loro esecutivi espressi dalle maggioranze, del Parlamento europeo come di quelli nazionali. Ieri la Commissione Ue ha suggerito alle capitali di ridurre le emissioni di CO2 del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990 come tappa intermedia per la neutralità climatica di metà secolo. Il pacchetto immagina opzioni di flessibilità per raggiungere l’obiettivo, tra cui il ricorso a partire dal 2036 a crediti di compensazione internazionale del carbonio nel computo delle emissioni.

I governi nazionali decideranno se è una buona proposta oppure no, nel caso avranno modo di emendarla. I cittadini, che per larga maggioranza si dichiarano consapevoli delle roventi insidie, dovrebbero spingere i loro leader ad assumersi la responsabilità dell’intervento, trovando congiuntamente i fondi che necessitano.

Il problema sono le forze politiche che, per giudizio o pregiudizio, negano il cambiamento e/o dicono che il conto è troppo esoso. Dovrebbero fare pace con il loro cervello, smettere di vivere nel guscio di una noce sentendosi re nello spazio infinito. La temperatura in Europa è, in media, due gradi più alta rispetto all’era preindustriale (fonte più recente: Università di St. Andrews). L’aria è inquinata nelle valli e nelle città, i mari sono incandescenti. Chi lo nega danneggia pure voi. Ditegli di smettere. E di fare subito qualcosa. 

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