Vertice Trump-Putin sull’Ucraina, ecco perché è una prova decisiva per Meloni

La reazione della premier al summit di Ferragosto tra i leader potrà rafforzare o smalfire la sua immagine internazionale

Carlo BertiniCarlo Bertini
La premier Giorgia Meloni
La premier Giorgia Meloni

Nelle prossime 48 ore, tra giovedì e venerdì,  Giorgia Meloni affronterà un test decisivo, da cui potrebbe uscirne con l’immagine internazionale scalfita o rafforzata: dipenderà da cosa dirà al termine del summit di Ferragosto tra Donald Trump e Vladimir Putin, dopo questi mille giorni di governo in cui ha tenuto la barra dritta in difesa dell’Ucraina. A decidere l’esito di questa prova del fuoco sarà un personaggio per nulla prevedibile: non Vladimir Putin, ma Donald Trump.

Se il tycoon snobberà le richieste europee, se si intenderà a modo suo con lo zar, con promesse elargitorie - su confini e territori - che confermino la natura dell’invasione russa quale guerra di conquista del forte a danno del debole; se insomma i due big concedessero poco o nulla all’Ucraina, gli sforzi della premier per tenere i piedi in due staffe – vicina a Donald e ancorata all’Europa - si potrebbero rivelare vani sul piano dei risultati tangibili. Di colpo apparirebbe superato il titolo di due settimane fa “Dove Meloni sta guidando l’Europa” del prestigioso settimanale Time. Perché se per mano di Trump si sgretolassero le maglie della cintura protettiva con cui l’Ue vorrebbe avvolgere l’Ucraina, chi non ha puntato sull’asse con la Casa Bianca in questi mesi sarà tentato – per le severe leggi della politica – a far pagare il conto ai suoi omologhi che hanno invece provato a blandire il tycoon.

Perché un conto è subire uno stop alle proprie istanze dopo aver alzato la voce con gli Usa per far sedere Ursula von der Leyen e Zelensky al vertice di Anchorage e dopo aver minacciato ritorsioni sui dazi, altro è subirlo dopo aver evitato di avanzare richieste sgradite al mastino americano.

Per carità, tutto vero: vero che l’Italia è allineata al resto d’Europa sulla postura ferma da tenere in vista del summit di Anchorage, con la minaccia di altre sanzioni alla Russia; vero che la premier stia tenendo alta la diga di una pace giusta e dignitosa, da costruire con un cessate il fuoco di due settimane come precondizione, con garanzie sulla sicurezza dell’Ucraina e con l’Europa seduta al tavolo dei negoziati. Ma se ciò finisse nel cassetto delle belle speranze, Meloni diventerebbe bersaglio di critiche più o meno velate per il costante tentativo di appeasement con l’America di Trump. Critiche in parte provocate anche dalla mancanza di una politica estera unitaria della sua maggioranza, che ne vanta perlomeno due, se non tre, grazie all’antieuropeismo misto a filo-putinismo di uno dei due vicepremier.

In caso di flop delle ragioni europee, Meloni potrebbe essere quindi costretta a far buon viso a cattivo gioco, poiché è da escludere una qualche critica al suo amico Donald: ma così facendo potrebbe rischiare di indebolire la futura capacità di presa sui partner Ue rispetto ad altri dossier di analogo peso, come il contrasto all’immigrazione, visto che già sul dramma di Gaza risulta isolata per il mancato riconoscimento dello Stato della Palestina.

Se le scelte private assumono spesso un significato politico, la circostanza che Meloni sia pronta a interrompere le vacanze con sua figlia per seguire da Palazzo Chigi il vertice dell’Ue con Trump nel day after con Putin, segnala quale sia la posta in gioco. 

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