Italia alla ricerca di nuovi mercati per resistere alla sfida dei dazi Usa
Il nostro Paese davanti a un bivio strategico: come prosperare senza gli Stati Uniti? Ci sono grandi margini di crescita negli scambi con l’Europa dell’Est e con l’Asia


Pare che si debba attendere fino al 2 aprile per sapere se e quali dazi il “capriccio del principe” Donald Trump abbia immaginato di imporre all’Europa e all’Italia.
Nel frattempo, possiamo prepararci al peggio e identificare le politiche necessarie a minimizzare gli eventuali danni alla nostra economia.
C’è poco da attendere invece per prepararci al nuovo ordine (disordine) mondiale nel quale gli Stati Uniti, oggi (ieri? ) il nostro più importante partner commerciale extra europeo, diventeranno un mercato più difficile da praticare.
Nell’attutire nel breve periodo gli effetti negativi sul Pil dell’Italia degli eventuali dazi Usa dovremo agire con politiche ad ampio spettro che non riguardino solo i settori delle macchine e impianti, della chimica e della farmaceutica, degli alimentari e del vino, dei mobili, gioielli, occhiali, eccetera.
Del valore aggiunto italiano attivato dalle nostre esportazioni negli Usa (69 miliardi di dollari nel 2019, il 14% del valore aggiunto totale creato dalle nostre esportazioni) solo il 49% proviene da questi settori manifatturieri. Il 45% si forma nei settori terziari di supporto.
Per far arrivare una macchina utensile, un medicinale, una bottiglia di vino o un paio di occhiali negli Usa si deve far ricorso a servizi commerciali, di trasporto, ma anche ricettivi e di ristorazione e della pubblica amministrazione: settori nei quali si origina quasi la metà del valore aggiunto italiano attivato dalle esportazioni negli Usa.
Il valore aggiunto da commercio vale (14% del totale) quasi il doppio di quello di macchine e impianti (8, 2%), il primo dei manifatturieri. Ma, andando oltre l’emergenza, non c’è nulla da attendere per mettere in cantiere le politiche necessarie a far sì che la nostra economia, aperta per ragioni strutturali, possa prosperare anche in un mondo con meno mercati Usa.

Le due prospettive da coltivare con urgenza sono i notevoli margini di espansione del mercato interno europeo, in primis nella nuova Europa dell’est – Ucraina e Moldavia incluse – e nei Balcani, e quelli potenzialmente enormi dei mercati extra-europei emergenti, in primis quegli asiatici.
Il mercato interno europeo dei beni agricoli e manifatturieri pur avendo agito da principale motore dell’integrazione economica del continente può crescere molto di più. Il Fondo monetario internazionale stima che se gli scambi tra stati membri dell’Ue raggiungessero il livello di quelli odierni tra gli stati degli Usa essi potrebbero aumentare almeno di quattro volte.
I mercati asiatici della Cina, dell’India, dell’Indonesia, del Vietnam, etc. stanno crescendo a tassi pari ad almeno quattro volte quelli europei. Ma per arrivare a quei mercati l’Italia dovrà superare molti ostacoli. Non ultimo quello di migliorare l’accessibilità agli stessi. Una accessibilità che detta due priorità strategiche sul piano infrastrutturale.
La prima è quella della eliminazione della strozzatura sull’alta velocità/alta capacità ferroviaria al confine italo-sloveno. Una strozzatura che oggi vede i mercati della “nuova Europa” dell’Est più facilmente raggiungibili da nord delle Alpi che a sud delle stesse lungo il mitico corridoio Barcellona-Kiev.
La seconda priorità è quella di portare la portualità italiana alle condizioni, infrastrutturali ed ordinamentali, di scala e di efficienza necessari a reinserirsi in modo competitivo sui percorsi delle catene logistiche che resistono tra Europa ed Asia. Questo significa organizzare alla scala di capacità ed efficienza necessaria ad operare in un mondo di “meganavi-megacarichi-megaporti” la portualità alto tirrenica da Savona a Livorno, passando per Genova e la Spezia, e quella alto adriatica da Ravenna a Rijeka, passando per Venezia, Trieste e Koper.
Un programma strategico e di investimenti ferroviari e portuali da far tremare le vene dei polsi. Ma oggi siamo a un bivio. Senza interventi di questa scala ed urgenza la prosperità italiana che vorremmo estesa a donne, giovani e Mezzogiorno resta una chimera.
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