Quella tassa ridotta per finta
In manovra il Governo ha introdotto la riduzione dell’Imposta sui redditi delle società. Con 400 milioni (pare) presi alle banche, potrà dire di aver tagliato le imposte alle imprese di quattro punti. Ma alle aziende che soffrono le crisi settoriali penserà un’altra volta

Il titolo è «meno tasse per le imprese», ma la storia non è quella che sembra. Il governo ha introdotto in manovra una riduzione dell’Imposta sui redditi delle società dal 24 al 20%, intanto per il 2025 e poi si vedrà. È una buona nuova, in senso lato. È una tacca sul programma elettorale che, però, tiene solo sino a quando incontri il piccolo e navigato industriale che invita a ragionare sull’efficacia della misura come sostegno per l’economia, e confessa di chiedersi se sia davvero un affare.
Il suo schema non fa una piega. Per prima cosa, nota che lo sconto d’imposta servirà esclusivamente le aziende che già vanno bene e che, quindi, hanno le maggiori chance di rimanere in pista pure con le vecchie aliquote; al contrario, se sei in difficoltà anche solo un poco continui a pagare le tasse di prima. Detto questo, l’imprenditore rileva che vengono introdotti troppi vincoli per l’esercizio societario e che una ditta sana («come la mia!») può perfino decidere non profittare dell’opportunità.
La bozza della legge di Bilancio per il 2025 che avrebbe dovuto essere finalizzata in commissione oggi prescrive due condizioni per l’Ires “premiale”: una quota non inferiore all’80% degli utili aziendali dell’esercizio 2024 va dirottata in una specifica riserva; un ammontare non inferiore al 30% degli utili accantonati deve essere destinato a investimenti per l’acquisto di beni strumentali (macchinari, impianti, eccetera), per stabilimenti con sede in Italia e un importo minimo di 20 mila euro. Sino a qui, paga meno tasse chi guadagna e rinuncia a condividere i profitti, usandoli per investire e garantire la solidità dell’impresa nelle filiali nazionali.
La questione si complica laddove il legislatore precisa che lo sconto spetta alle aziende che fra dodici mesi conteranno un numero dipendenti non inferiore alla media dei tre anni precedenti, e che non saranno ricorse agli ammortizzatori sociali, nei biennio 2024/25. Imprese sane, dunque, al sicuro dai sobbalzi dei mercati.
Le quali perderebbero il beneficio se dovessero vendere i macchinari comprati, o utilizzarli in impianti delocalizzati entro il quinto periodo di imposta dopo quello in cui è stato effettuato l’investimento. Ultima difficoltà: essendo lo sconto annuale, bisognerà calcolare l’acconto d’imposta per il 2026 con l’antico 24%, salvo cambiamento di scena.
Complesso e non redistributivo, suggerisce il piccolo imprenditore in modalità «mumble mumble» come Topolino. Per avere un anno di sconto, spiega, dovrebbe limitare la capacità di movimento della sua azienda, non considerare gli stabilimenti esteri e non pagare tutti i dividendi agli azionisti. Vede un mondo di piccoli e medi calibri che navigano a pelo e che non avranno l’Ires premiale. Poi si arrende all’evidenza che la spesa fiscale è sempre “politica”, accontenta molti con poco, e cerca di tutelare il consenso.
Con 400 milioni (pare) presi alle banche, il governo potrà dire di aver tagliato le imposte alle imprese di quattro punti. Alle aziende che soffrono le crisi settoriali - come a bollette, pedaggi e trasporti che rincarano ed erodono un vantaggio impositivo non abbastanza diffuso - penserà un’altra volta. Intanto il titolo alla radio, sui giornali, i siti e i Tg lo ha ottenuto.
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