L’innovazione politica di Mattarella

Un pensatore contemporaneo del costituzionalismo liberaldemocratico (e del cattolicesimo politico), oltre che custode istituzionale della nostra Carta fondamentale

Massimiliano PanarariMassimiliano Panarari
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella

Contemperare sensibilità e temi differenti e salvaguardare in ogni occasione l'unità del Paese.

Sono i segni della (notevolissima) capacità di fare politica di Sergio Mattarella rimanendo entro i confini del proprio ruolo di garanzia, come scriveva ieri Carlo Bertini. Come pure l'evidenza del fatto che il capo dello Stato si presenta, una volta di più, nelle vesti di un pensatore contemporaneo del costituzionalismo liberaldemocratico (e del cattolicesimo politico), oltre che quale custode istituzionale della nostra Carta fondamentale.

Il discorso di fine anno si è infatti rivelato come un ulteriore tassello, con la sua precisione nell'inquadrare i problemi della "questione sociale" odierna (dagli incidenti sul lavoro alla crisi della sanità) e, ancora, nell'attenzione all'ambiente e agli ecosistemi naturali e nella difesa della libera informazione (compreso il riferimento a Cecilia Sala ostaggio del regime degli ayatollah), di quello che costituisce un autentico pensiero politico – ovviamente non "di parte", ma la cui agenda dovrebbe seriamente orientare chi fa politica ispirandosi a una visione progressista.

Per questo si può dire che il presidente – il quale, del resto, è un giurista accademico – rappresenta anche un intellettuale pubblico "non partisan" e un pensatore politico a tutto tondo.

Si infittiscono, difatti, le occasioni nelle quali emerge un'elaborazione chiara e distinta sulle frontiere del presente. Si pensi, per esempio, alle sue continue citazioni nel corso delle settimane passate a Elon Musk, che fotografavano con nettezza l'involuzione che rischia di subire non soltanto quella che veniva tradizionalmente definita come "la più grande democrazia del mondo", ma il paradigma stesso della democrazia liberale e costituzionale a causa del nuovo potere politico diretto (e non elettivo) dei tycoon di Big Tech.

Quella tecno-oligarchia che si fonda sul decisionismo, l'assenza di mediazioni, la concentrazione dei capitali e il controllo dell'innovazione, come ha giustappunto sottolineato il capo dello Stato, oltre che sul "software" dell'Ideologia californiana.

La degenerazione nella direzione dello «Stato corporazionale» in cui alcune funzioni delle potestà pubbliche finiscono per venire di fatto privatizzate e devolute a multinazionali, innanzitutto quelle high-tech, specialmente in quegli ambiti militari e di sicurezza il cui monopolio nella modernità spettava, per definizione, allo Stato.

Mattarella ha anche individuato tre concetti cardine nelle parole rispetto, fiducia e speranza, che identificano altrettanti pilastri di quella convivenza civile e di quel pluralismo senza i quali non esistono le società aperte. Nell'enucleare la nozione di speranza, «che deve trasformarsi in realtà», ha ribadito, in particolare, un elemento centrale del cattolicesimo democratico novecentesco, che di recente si sta peraltro riaffacciando nelle scienze sociali (come mostra il dibattito sul libro di Guido Gili ed Emiliana Mangone, "Speranza. Passione del possibile"). E, dunque, davvero un pensiero politico innovativo del patriottismo costituzionale, in grado di riflettere sulle emergenze del nostro tempo – e l'antitesi creativa di un certo liberalismo tradizionale, come pure di un omaggio statico e formale alla Carta del 1948.

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