Il pacifismo trasformista di Salvini
Fan di Putin al punto da stamparne il volto sulla maglietta. Poi ultrà trumpiano, esponendosi al rischio di dover spiegare i dazi agli imprenditori del Nord (e del Sud). Ora ci manca solo il Salvini europeista

Pace è, dunque, la nuova parola d’ordine del leghismo. Pace in Ucraina. Pace fiscale. Il funambolico accostamento di Matteo Salvini si traduce nell’iniziativa dei 1000 gazebo leghisti che, in questo weekend, raccolgono le firme per la campagna del segretario.
A guardar bene, non si tratta nemmeno di novità. Quella fiscale è una tradizionale battaglia dei conservatori. Mentre attorno al tema del pacifismo, dall’inizio delle ostilità tra Mosca e Kiev, è venuta a formarsi una “coalizione” inedita ed eterogenea che tiene insieme il M5s, una parte consistente della sinistra e, appunto, la Lega.
Il che rende subito evidenti le possibili ripercussioni dell’attivismo di Salvini: sul governo; sul posizionamento dell’Italia nel quadro europeo. Salvini, naturalmente, ha in mente anzitutto il suo, di posizionamento.
Si muove nello spasmodico tentativo di trovarne uno. Di ritrovare il tocco magico: lui che – per una breve fase – è stato il Re Mida della politica italiana. Fino a quel 34% del 2019. Proprio dalla richiesta di pieni poteri, tutto ha iniziato a girare per il verso sbagliato, per il leader leghista.
Da allora ha subito diversi stop: sulle candidature, sul terzo mandato dei presidenti di regione… Si è intestato progetti complicati – per usare un eufemismo – come quello sul Ponte. Salvini non ha mai smesso di muoversi, agitarsi, esporsi.
L’assoluzione nel processo Open Arms è sembrata invertire il trend negativo. Il segretario è tornato addirittura a sognare: il ritorno al Viminale; il ritorno al centro della politica. Più realisticamente, l’obiettivo di breve termine pare quello di conservare il timone del Carroccio, in vista dell’imminente congresso previsto a inizio aprile.
Superando i malumori della base nordista. Per questo, Salvini è disposto a cambiare. Come è già cambiato più volte, nel suo percorso politico.
Trascinando con sé l’intero partito, almeno da quando ne ha conquistato il timone. Il Capitano, protagonista qualche anno fa di selfie in divisa o con il mitra in mano, si avvolge oggi nella bandiera della pace. Ma è solo una delle tante metamorfosi. Salvini è stato il leghista rosso, il leghista verde, il leghista blu tendente al nero.
Il leghista tricolore e, adesso, il leghista arcobaleno – con opportuna precisazione: l’iride è quello pacifista, non certo quello Lgbtq+. Ora, trasformismo e opportunismo sono talenti ben diffusi tra i leader politici. Ma Salvini sembra aver percorso l’intero spettro ideologico, dai comunisti padani alla liaison con l’estrema destra. Senza poter essere mai del tutto “fermato” da un’etichetta o collocato in un preciso luogo politico.
Senza dubbio, ha provato a portare la Lega oltre la sua tradizionale impostazione ideologica. Riuscendoci almeno in parte. Salvini, così, è stato autonomista e nazionalista. Padano e italiano. Milanese, romano e siciliano: ovunque la felpa lo portasse.
Fan di Putin al punto da stamparne il volto sulla maglietta. Poi ultrà trumpiano, esponendosi al rischio di dover spiegare i dazi agli imprenditori del Nord (e del Sud). Ci manca solo il Salvini europeista. Forse lo è stato in passato, quando lo era la Lega, negli anni Novanta. Potrebbe tornare ad esserlo. In caso di necessità.
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