Il futuro multietnico della scuola

Il diritto all’istruzione è un cardine della democrazia. L’alternativa è condannare la scuola al rischio segnalato da don Milani: ridursi a un ospedale che cura i sani e respinge i malati

Francesco JoriFrancesco Jori

La scoperta dell’acqua calda. È un fenomeno che dura da anni, ampiamente documentato; ma sembrano accorgersi solo ora di cosa gli e ci sta capitando sotto gli occhi, gli orchestrali che danno fiato alle trombe di fronte alla massiccia presenza di studenti stranieri sui banchi di scuola.

È dal 2014 che l’intera Italia conosce un costante calo di nascite, a mala pena compensato dai figli degli immigrati; i trend demografici segnalano che così sarà ancora a lungo, e che se non ci fossero “foresti” si registrerebbe una morìa di istituti. Eppure i pretoriani dell’assalto ai confini perseverano nell’attizzare polemiche senza arte né parte.

Il caso specifico riguarda due scuole di Padova e Mestre; ma investe l’intero Nord Est, dove il fenomeno è tra i più consistenti a scala nazionale, assieme a Lombardia ed Emilia Romagna. In Veneto come in Friuli Venezia Giulia, gli studenti stranieri nei vari livelli di istruzione sono oggi il 15 per cento, con punte-record come a Monfalcone, dove arrivano al 45 per cento.

Le presenze più elevate riguardano chiaramente le elementari, ma l’onda lunga ha già investito le medie, e si comincia a vederne traccia alle superiori.

Va peraltro chiarito, a beneficio di chi si straccia le vesti di fronte a questa anagrafe, che in misura sempre più consistente essa riguarda sì ragazzi stranieri, ma nati in Italia e qui saldamente integrati: per la precisione, 75 mila in Veneto e 14 mila in Friuli Venezia Giulia. Solo una legislazione tra le più arretrate in Europa nega loro la concessione della cittadinanza fino a che non abbiano compiuto i 18 anni.

A coloro che vivono questa presenza come un’invasione a scapito dei derelitti nativi, bisognerebbe chiedere: quale alternativa propongono? Le proiezioni demografiche spiegano, dati alla mano, che senza la presenza di alunni stranieri nel 2050 (dunque da qui a una sola generazione) gli studenti veneti scenderebbero da 750 mila a 500 mila, con la soppressione di 10 mila classi e la perdita del posto di lavoro di 22 mila insegnanti.

Per non parlare delle ricadute a lungo: meno giovani significa in prospettiva meno lavoratori a tutti i livelli, meno contributi alle pubbliche casse, meno assistenza agli anziani. Già oggi un numero crescente se ne va altrove per l’inadeguatezza delle condizioni di lavoro; quali scenari vogliamo alimentare?

Per fortuna la squadra degli iscritti al “non passa lo straniero” è composto da una ristretta minoranza: nella quale si è subito infilato al primo posto l’incursore Roberto Vannacci, il Garibaldi formato bonsai dei malpancisti; smentito peraltro da una parte significativa di quel centrodestra che pure via Matteo Salvini l’ha arruolato nella veste di acchiappavoti.

Esemplare la posizione di Valeria Mantovan, assessore all’istruzione del Veneto, esponente di Fratelli d’Italia: che ha respinto le tesi dei pasdaràn di turno, proponendo una visione della scuola basata sull’integrazione e sull’inclusione.

Il sistema dell’istruzione italiana presenta limiti e difetti vistosi di suo, che ricadono su studenti e famiglie locali quanto straniere: va potenziato attraverso investimenti adeguati, non mortificato con barriere e divieti.

Oltretutto, l’integrazione tra etnìe e culture diverse procede nella vita quotidiana a dispetto degli ultrà delle barricate; e proprio i ragazzi lo testimoniano nelle pratiche quotidiane, dai banchi di studio agli spazi del gioco o dello sport.

E il diritto all’istruzione è un cardine della democrazia. L’alternativa è condannare la scuola al rischio segnalato da don Milani: ridursi a un ospedale che cura i sani e respinge i malati.

Riproduzione riservata © il Nord Est