Il caso Venezi, un azzardo che penalizza il sistema
Un grande teatro d’opera che dichiara di puntare su un direttore giovane si autodeclassa, dichiarando al mondo di non essere capace di attrarre un direttore affermato


Auguro a Beatrice Venezi ogni bene e i migliori successi per la sua carriera. Le auguro di poter presto aggiungere al suo essere donna e giovane un curriculum di direttore d’orchestra fatto di ripetuti inviti (il secondo, il terzo, e così via, perché il primo non si nega a nessun prospetto) da parte di prestigiosi teatri d’opera italiani, tedeschi, francesi, inglesi, etc. Le auguro di poter un giorno assumere l’incarico di direttore musicale della Fenice non semplicemente per opportunità concessa, ma per scelta dettata dalla volontà di strapparla alla concorrenza dei più grandi teatri lirici internazionali.
La differenza è sostanziale: affidare la direzione musicale per offrire una “chance” rappresenta un rischio, non solo per la persona interessata, ma in misura ancor maggiore per la Fenice e per Venezia. Per la Fenice che non può rischiare di perdere il pubblico e, soprattutto, l’orchestra, sbagliando direttore. Per Venezia che non può perdere anche questa funzione metropolitana: il teatro d’opera che caratterizza i “luoghi centrali”, le città di rango superiore, di ogni sistema urbano nazionale.
Il danno è purtroppo in parte già fatto con le dichiarazioni. C’è solo da sperare di poter rimediare con i fatti. Un grande teatro d’opera che dichiara di puntare su un direttore giovane al quale vuol dare una possibilità è un teatro che si autodeclassa dichiarando al mondo di non essere capace di attrarre un direttore affermato.
È come se Napoli, Inter, Juventus o Milan, si affidassero ad un centravanti di belle speranze anziché contendersi a suon di milioni di euro chi ha già dimostrato il suo valore a suon di goal. Una dichiarazione di autodeclassamento che non produce solo un danno di cosiddetta immagine. Un direttore- scommessa ha inevitabilmente conseguenze sull’orchestra, sulle sue performance, ma anche sulla sua composizione. Perché un grande primo violino dovrebbe restare a fare da spalla a un direttore-scommessa se gli capitasse l’occasione di farlo ad un grande direttore in un altro teatro? E se i migliori professori d’orchestra si autotutelano andandosene…Una grande orchestra si costruisce con un paziente lavoro di anni, ma si può distruggere in poche settimane. E un teatro prestigioso che si autodeclassa a parole il declassamento lo conseguirà di fatto.
Perché, ci si poterebbe domandare, continuare ad affidare a una orchestra resa anch’essa scommessa il Concerto di Capodanno che da vent’anni rappresenta la lirica italiana nel mondo? Ma, cosa altrettanto se non più grave, un teatro d’opera meno attraente rende meno attraente anche la città. E non intendo attraente per le masse di turisti molti dei quali della Fenice neanche si accorgono.
Intendo – come i principi di economia urbana insegnano —l’attrazione che il teatro d’opera, dotazione tipica delle città di rango superiore, esercita su imprenditori, dirigenti, professionisti, talenti impegnati nelle nuove attività innovative che, spesso sofisticati amanti della musica colta, scelgono anche per questo il loro luogo di residenza se non di attività.
Venezia non può per l’irresponsabilità di pochi perdere anche questa “funzione centrale ” della quale beneficia tutta la grande area metropolitana della quale fa parte.
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