L’illusione di difenderci dall’orrore

Nel condannare i crimini di guerra dobbiamo sempre ricordare che non sono entità astratte o aliene a commetterli, ma persone come noi. Anzi forse, se ce ne fossero le condizioni, potremmo essere persino noi stessi

Peppino OrtolevaPeppino Ortoleva
Palestinesi cercano tra le macerie degli edifici distrutti dopo un attacco aereo israeliano
Palestinesi cercano tra le macerie degli edifici distrutti dopo un attacco aereo israeliano

Fra gli aspetti più inquietanti del nostro tempo c’è il moltiplicarsi di delitti atroci che colpiscono grandi masse di persone.

Sono i crimini di guerra - a Gaza, nei territori occupati dai russi in Ucraina, il 7 ottobre - e i crimini contro l’umanità all’interno di molti stati, nei tanti regimi sempre più tirannici del mondo o nella stessa Israele a opera delle feroci milizie paramilitari dette “coloni”. In Sudan, in Congo, in Libia è poi difficile distinguere tra i crimini degli eserciti, quelli delle milizie agli ordini di signori della guerra, quelli delle bande criminali.

Di fronte al crescere di tanta violenza è sacrosanta l’indignazione così come la richiesta che sia fatta giustizia. Ma le corti internazionali sono quasi impotenti nei confronti di figure come Putin o Netanyahu. E l’indignazione rischia di farsi sempre più fioca, e vuota. O è decisamente selettiva, e denuncia i crimini di una parte per sminuire quelli di un’altra (come accade troppo spesso per il conflitto tra Israele e Hamas).

È bene allora provare a ragionare più in profondità. Leggiamo queste parole: “Avevamo sperato che si sarebbe garantita completa immunità per il ferito che doveva ritirarsi dal combattimento e per il medico e l'infermiere che avevano il compito di curarlo. Non è il caso di dire che bisognava avere tutti i riguardi per la popolazione civile, e che dovevano essere mantenute tutte le iniziative e le istituzioni internazionali nelle quali, in tempo di pace, si era espressa la comunanza della civiltà”.

Sembrano scritte oggi, invece le vergò nel 1915 il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, per dichiarare il suo “disinganno” di fronte agli orrori della Prima guerra mondiale appena cominciata.

Ora siamo noi a dovere ammettere di esserci ingannati, anche più dei nostri predecessori di oltre un secolo fa. L’Europa viene da decenni di pace (all’ombra comunque dell’apocalisse nucleare), e dal 1945 in poi la legislazione sui crimini di guerra e contro l’umanità è sembrata solidamente protetta da istituzioni internazionali che al tempo di Freud neppure si immaginavano.

Eppure è bastato che si riaprissero alcuni fronti di guerra per dimostrare la falsità di molte “certezze”, tra cui l’illusione di tanti che la pace sarebbe durata per sempre, e per farci notare che nel nostro continente o nei suoi immediati dintorni stanno diventando “normali” atrocità non inferiori a quelle in corso da decenni in Africa, che si preferiva non vedere.

Questo non vuol dire che ci si debba rassegnare. Al contrario oltre a indignarci e condannare dobbiamo cercare di capire perché l’illusione di sapersi difendere dall’orrore si è dimostrata vana, e come si possono tutelare in modo realmente efficace la legalità internazionale e quelle regole etiche che pure a parole (quasi) tutti sostengono.

E dobbiamo sempre ricordarci che le colpe sono comunque delle persone, di quelle al potere che organizzano i crimini come di coloro che li mettono in atto nascondendosi dietro l’alibi di “obbedire agli ordini”. Vedere solo i crimini di una parte è una forma di cecità morale.

Alla scoperta dei primi campi di sterminio la pensatrice, ebrea tedesca, Hannah Arendt scrisse: “Molti mi chiedono che cosa si prova a essere tedeschi, io penso piuttosto, tremante di paura, di che cosa è capace l’umanità”. Nel condannare i crimini di guerra dobbiamo sempre ricordare che non sono entità astratte o aliene a commetterli, ma persone come noi. Anzi forse, se ce ne fossero le condizioni, potremmo essere persino noi stessi.

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