La sfida dell’AfD, test per le democrazie
Un vecchio dilemma: dovrebbe essere bandita dalla scena politica? I livelli di risposta sono diversi, a seconda di come si interpreti l’idea di limitare l’agibilità politica di attori di questo tipo


Dunque, AfD, Alternativa per la Germania, è un partito pericoloso. Sono giunti a questa conclusione i servizi segreti di Berlino. Stiamo parlando dell’ultradestra tedesca. Estrema, anzi estremista secondo la nuova classificazione che mette il partito sotto sorveglianza. E ripropone un vecchio dilemma: AfD dovrebbe essere bandita dalla scena politica? I livelli di risposta sono diversi, a seconda di come si interpreti l’idea di limitare l’agibilità politica di attori di questo tipo.
Di quale tipo? Beh, nel caso del partito di Alice Weidel, pesano i legami con ambienti neonazisti. Ma ad essere stata certificata, ora, è l’incompatibilità di alcune idee promosse da AfD con l’ordine liberale e democratico. In particolare, le idee riguardanti la convivenza tra etnie, culture e religioni. E qui il terreno si fa più scivoloso, visto che gli attori che promuovono posizioni illiberali, sulla scena globale, sono molti.
Cosa fare, allora, quando il lupo cattivo bussa alla porta? Molti elettori appaiono tutt’altro che spaventati di fronte alla proposta di formazioni radicali, anche se non necessariamente “estreme”. Lo testimonia il loro successo elettorale in diversi Paesi. I casi di scioglimento, dichiarata ineleggibilità, elezioni annullate non mancano. Ma limitazioni e controlli per via legale possono intervenire a diversi livelli.
Altri sbarramenti avvengono sul piano più strettamente politico. Gli “altri” partiti possono chiudere all’ipotesi di alleanze con formazioni che si collocano alle estreme (destra e sinistra). O creare coalizioni “larghe” per escluderle. In Germania si parla di muro di fuoco (e sembrava sul punto di cadere). Nell’Italia della Prima Repubblica vigeva la conventio ad excludendum nei confronti di comunisti e missini. In Francia il cordone sanitario o fronte repubblicano è scattato più volte di fronte all’avanzata dei Le Pen, specie nei “secondi turni”. Il che sottolinea come anche il sistema istituzionale sia tutt’altro che ininfluente.
Negli USA, il formato delle presidenziali ha spianato due volte a Trump la strada verso la Casa Bianca. Ora, precisato che il tycoon nel 2024 ha conquistato la maggioranza del voto popolare, il suo profilo ideologico non è certo assimilabile a quello di AfD – sebbene una parte consistente dell’amministrazione di Washington stia denunciando la decisione di Berlino come espressione di una “tirannia mascherata”.
È indubbio, tuttavia, che il sistema americano risulti maggiormente permeabile rispetto all’azione degli sfidanti più controversi. Per poi magari frenarli nella loro azione di governo – è di questi giorni lo stop dei giudici alla politica delle deportazioni. Oppure trasformarli in anatre zoppe a solo due anni di distanza, nel voto di metà mandato.
Il dilemma è alla fine questo. Accettare la sfida di partiti e leader che si fanno interpreti, in modo spesso brutale, delle spinte più estreme presenti nella società può contribuire a depotenziarne la portata. Metterli alla prova delle istituzioni e del governo, per svelarne l’inaffidabilità ed evitare che quella tensione, crescendo, finisca per travolgere l’edificio democratico.
Ma aprire la porta al lupo cattivo comporta altrettanti rischi.
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