Il fine vita e il vero compito delle Regioni
Le Regioni non sono chiamate a mettere in discussione la libera scelta del paziente, ma a verificare nei modi adeguati la presenza di quelle condizioni

È assai significativo che le divaricazioni più marcate tra i due candidati più accreditati per la presidenza della Regione sia sui diritti civili e in particolare sul “fine vita”.
Si scontrano qui visioni radicalmente diverse su questioni che interrogano la coscienza etica di ciascuno di noi. Ma conviene fare qualche precisazione che dia un pur piccolo contributo di chiarezza in questa campagna elettorale regionale.
La Corte Costituzionale è intervenuta infatti ripetutamente sul fine vita, e ha stabilito alcuni paletti precisi, richiedendo la presenza di alcune condizioni in ciascun specifico caso che, qualunque sia la legislazione che il Parlamento approverà, dovranno essere rispettati. Rimproverando il Parlamento stesso di non aver approvato alcuna legge in proposito in questi anni.
Tuttavia, nemmeno oggi in Parlamento sembra ci siano le condizioni politiche per un accordo per una legge condivisa in materia.
E intanto i casi di persone che chiedono di poter ricevere l’assistenza necessaria per porre fine alle loro sofferenze si moltiplicano.
Alcune Regioni hanno avviato, e una sola lo ha concluso (la Toscana), il percorso per assicurare a chi lo chiede il diritto a ricevere quell’assistenza con un intervento, di natura regolamentare o legislativa, che ha un compito definito: verificare in tempi certi e in modo oggettivo la presenza o meno delle condizioni di cui sopra si diceva.
Altrettanto importante è, secondo la Corte, che le Regioni si attivino per garantire tutti i supporti di cure palliative ragionevolmente praticabili per alleviare le sofferenze del paziente, tuttavia evitando sempre l’accanimento terapeutico. Ma rispettando comunque la libertà di scelta del paziente stesso, così come sancito dalla Corte stessa.
Le Regioni non sono chiamate, dunque, a mettere in discussione la libera scelta del paziente, ma a verificare nei modi adeguati la presenza di quelle condizioni. Questo pare essere il punto fondamentale da tenere presente.
Sono cioè chiamate a esprimere, attraverso strutture del loro Servizio sanitario, un giudizio “di fatto”, un’analisi sulla presenza o meno di determinate condizioni, non un’opzione etico-filosofica, inevitabilmente ideologica, cioè un giudizio di valore, sempre legittimo ma a un altro livello, in ordine alla scelta del paziente.
Rimandare la decisione sull’attuazione di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale all’approvazione di una legge in Parlamento sembra davvero voler buttare il pallone in tribuna. L’esame dei testi presentati dai partiti in Parlamento per tradurre in legge quanto contenuto nei pronunciamenti della Corte è impantanato, come già si diceva.
E i partiti della maggioranza stanno cercando di far approvare proposte assai discutibili come quella di escludere l’intervento della Sanità pubblica nei casi di richiesta di supporto per il “suicidio assistito”, quasi fosse un lusso che solo chi è abbiente può permettersi, come certi interventi di chirurgia estetica.
Ma è fallito anche il tentativo, coraggioso e serio, del presidente Zaia di intervenire a livello regionale nei termini più sopra specificati. Per il voto di astensione di un’esponente cattolica dell’opposizione. È davvero un tema caldo, e divisivo, questo, nell’attuale campagna elettorale.
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