Il governo del mondo e quella deterrenza che non è più una soluzione

Così il venir meno del bilanciamento fra “obiettivi diametralmente opposti” vanifica il potenziale delle intimidazioni e bagna le polveri dei negoziati

Marco ZatterinMarco Zatterin
Vladimir Putin e Donald Trump
Vladimir Putin e Donald Trump

John von Neumann, straordinario matematico ungherese naturalizzato americano (1903-1957) e, secondo alcuni, “l’uomo più intelligente del XX secolo”, era certo che la bomba atomica fosse il miglior garante della Pace su cui il Pianeta potesse contare. In realtà, prima di arrivare a questa conclusione, aveva pensato che un attacco preventivo a Mosca rappresentasse non soltanto una soluzione ottimale, ma anche l’unica decisione logica per frenare il “nemico”. Quando però si venne a sapere che i sovietici possedevano 400 testate nucleari, cambiò idea e scrisse che il prevalere di una condotta razionale, dunque non distruttiva, era condizionato al fatto che i “giocatori” fossero ispirati da obiettivi diametralmente opposti e di analoga entità. La Guerra Fredda, nonostante la scarpa di Nikita Krusciov e gli azzardi cubani di John Kennedy, gli ha dato ragione.

Fra gli innumerevoli talenti e interessi, in von Neumann albergava una passione per la Teoria dei Giochi. Ebbene, dopo aver avuto un ruolo di testimone diretto del Manhattan Project, arrivò a calcolare – sì a calcolare! – che l’equilibrio degli assetti mondiali si fondasse su un gioco a somma zero fra Usa e Urss, i cui interessi divergenti avrebbero finito per annullarsi, dunque a far sì che le minacce più terribili non si traducessero in atti concreti. La logica dell’ungherese generò un acronimo spaventoso: Mad, Mutual assured destruction, distruzione reciproca garantita. Era la sigla della deterrenza legata alla rappresaglia nucleare, una follia dai molti aspetti razionali: se mi spari, ti distruggo anche a costo di far saltare tutta la Terra, dunque non mi spari.

Se il professor János, Johnny per gli amici, era nel giusto, ci sono buoni motivi per essere inquieti. Perché nel Gran Riassetto in corso sullo scacchiere geopolitico la divergenza dei fini non è più antinomica.

L’antitesi fra Putin e Trump non risulta più irrimediabile, come non lo è per arabi e Israele. In un contesto in cui i più coerenti, per quanto non certo universalmente condivisibili, risultano i cinesi, gli intenti degli avversari mostrano punti di convergenza strategica che disinnescano una parte della possibile deterrenza vecchio stile.

L’ondulante retorica di The Donald è il sintomo dell’esigenza di adattarsi a un sistema di cui il presidente americano ha accelerato il processo di trasformazione, rendendo più incerto l’approdo dei conflitti latenti e no. Trump, Putin e Bibi sono quasi in armonia nel criticare l’Onu, l’Omc e il Tribunale penale internazionale, per non parlare dell’Europa in cui un crescente, ma ancora minoritario, fronte politico è pronto a imitarli pur andare al governo nella modalità “crepi Sansone con tutti i filistei”. Così il venir meno del bilanciamento fra “obiettivi diametralmente opposti” vanifica il potenziale delle intimidazioni e bagna le polveri dei negoziati.

Von Neumann, davanti a tutto ciò, avrebbe decretato la fine di ogni auspicabile condotta razionale. In realtà, le dinamiche potrebbero essersi evolute e una nuova deterrenza potrebbe salvarci. Il problema è che non si vede quale, così si deve sperare nell’errore umano e nella contraddizione che corregga le contraddizioni. Ovvero nel mancato rispetto della regola che faccia fallire la regola stessa, risvegli la ragione e, alla fine, ripristini la Pace. Non resta molto altro. Sul buon senso collettivo e maggioritario, di questi tempi, non c’è quasi più nessuno disposto a scommettere un centesimo. —

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