La risposta politica che il Veneto vuole
Dopo mesi di rinvii e faide interne, la campagna per le regionali in Veneto entra nel vivo. Ma i partiti sembrano ancora lontani dai veri temi: crisi demografica, economia in affanno, degrado ambientale


Deo gratias. Dopo mesi persi in sterili discussioni tra rinnovi di mandati e rinvii di voto, finalmente in Veneto si può (si dovrebbe...) cominciare a parlare sul serio di elezioni regionali; sperando che nella manciata di mesi da qui alle urne i partiti ci facciano sapere cosa vogliono fare, oltre che con chi.
Tuttora le premesse non sono confortanti. Il centrodestra, pur in netta pole position, continua ad avvitarsi sul «tocca a me» interno; pur sapendo benissimo che la decisione passerà sopra le sue teste locali per venire invece calata dall’alto.
Dal canto suo, il centrosinistra, da trent’anni perdente per vocazione, si ostina a dedicarsi al gioco delle figurine, calandone ogni giorno di nuove; con il risultato che, chiunque alla fine verrà scelto, per quanto valido sarà appunto ridotto a figurina.
Si aspetta e merita ben altro, un Veneto che negli ultimi vent’anni ha cambiato pelle più che in venti secoli; e che nei prossimi cinque sarà chiamato ad affrontare quello che papa Francesco chiamava non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca. Il tema di fondo dell’appuntamento elettorale si può sintetizzare in una sola parola: ambiente; declinata sotto tre profili, umano, economico e fisico.
Il primo è di gran lunga il più importante. Nel corso di legislatura, l’anagrafe regionale conoscerà un autentico stravolgimento, sotto l’effetto congiunto di crollo delle nascite, invecchiamento della popolazione e flussi migratori. E queste dinamiche avranno ricadute dirompenti a tutto campo: dalla scuola al lavoro, dalla sanità al welfare; il tutto in un contesto di dura scuola di convivenza all’interno di una società inesorabilmente plurale, a dispetto delle resistenze dei pretoriani del «prima i veneti».
Il secondo nodo ambientale riguarda l’economia. Dalla decantata qualifica di locomotiva d’Italia, la regione è via via retrocessa a un modesto accelerato, che sta perdendo posizioni non solo in Europa, ma pure in casa: superata da due aree contermini e di opposto segno politico come Lombardia ed Emilia Romagna.
A fianco di imprese virtuose proliferano aziende in crisi, in quota di gran lunga superiore; troppi cervelli se ne vanno, e per sempre; le retribuzioni dei lavoratori sono le più basse del Nord; gli ultimi indicatori di Bankitalia segnalano un ristagno economico che si traduce in un sostanziale indebolimento. Al sistema serve una radicale innovazione dall’interno che faccia leva sul capitale prima di tutto umano; e dall’esterno una rete di servizi a partire dalle infrastrutture che rimangono carenti assai.
Da ultimo, l’ambiente fisico. Soprattutto nella sua area centrale, il Veneto si è ridotto a un’informe e deforme metropoli preterintenzionale, devastata da anni di bulimia da cemento seconda in Italia alla sola Lombardia. Il degrado del territorio è sotto gli occhi (e soprattutto nei polmoni) di tutti, con infezioni da inquinamento che investono acqua, aria e suolo.
Dalle Dolomiti all’Adriatico, il cambiamento climatico presenta conti sempre più pesanti legati alle calamità naturali, cui si risponde in termini di prevenzione con puri balbettii. La logica di fondo rimane ispirata a quello che Andrea Zanzotto, con micidiale immagine, chiamava «progresso scorsoio».
Sono questi i temi su cui i veneti si attendono risposte dalla politica: parlando di sostanza, non di etichette. Altrimenti, l’alternativa è semplice quanto sconfortante: condannarci per l’ennesima volta all’immagine goldoniana, condita di patetico e ridicolo, tra baruffe chiozzotte e sior Todaro brontolon.
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