La vera partita del voto in Toscana e i riflessi su destra e sinistra
Ecco perché la vera posta in gioco di queste Regionali saranno i voti di lista di due partiti, minori ma influenti, come Lega e M5s. Con qualche serio pericolo per Salvini


Sembra passato un secolo, sono trascorsi 5 anni dalle ultime elezioni regionali ma l’acqua passata sotto i ponti dell’Arno ha lasciato sedimenti che potrebbero venire a galla a urne aperte, inquinando le due sponde opposte a destra e sinistra: perché la vera posta in gioco saranno i voti di lista di due partiti, minori ma influenti, come Lega e M5s.
Tanto per prendere subito il toro per le corna: se la Lega, commissariata in Toscana dal generale Vannacci - che ha imposto suoi candidati in lista, ci ha messo la faccia in lungo e in largo, strappasse un exploit rispetto alla media dei sondaggi nazionali, per Matteo Salvini sarebbero dolori. E non solo per lui, anche per la premier. E vedremo tra poco il perché. Intanto la cornice, prima del quadro: il generale Vannacci viene considerato una mina vagante a destra e in Toscana, dove vota e risiede, ambiva prima dell’estate al ruolo di coordinatore regionale della Lega ma poi fu stoppato da una rivolta. Facendola da padrone nella Lega, potrebbe conquistare una posizione strategica nella regione, potenzialmente un trampolino di lancio per mire più alte. Una sorta di riscatto personale, che avrebbe sicure conseguenze.
Dall’altra parte, se i 5stelle di Conte, dopo la debàcle nelle Marche e in Calabria, prendessero in Toscana anche un solo punto in meno rispetto alla volta scorsa, i dem ostili alla influenza esercitata da Conte nel campo largo avrebbero frecce al loro arco, da indirizzare sulla schiena di Elly Schlein.
Tre indizi fanno una prova e il fatto che pure alla chiusura dei comizi in Toscana Schlein e Conte non siano saliti insieme sul palco, la dice lunga. Dunque, ad una (eventuale) terza botta in testa subita domenica in Toscana dal partito di Giuseppe Conte, i governisti del Pd avrebbero buon gioco a strepitare nelle segrete stanze del Nazareno che i 5stelle non portano voti. Anzi, rischiano di farli perdere, perché i loro elettori non vogliono votare i candidati del Pd. Non trovano sufficienti ragioni per farlo.
Tanto per dire: alle regionali del 2020, M5s prese il 7,1 nelle Marche correndo da solo in una regione dove due domeniche fa è sceso di due punti stando insieme al Pd. E quindi Houston, abbiamo un problema. E grande. Specie se il trend venisse confermato in due regioni grilline per eccellenza come Puglia e Campania, dove i 5stelle corrono a braccetto col Pd.
Se si andasse a votare alle politiche con la legge attuale, siamo sicuri che nelle sfide dei collegi, i grillini voterebbero compatti insieme a Pd e centristi un candidato dem, magari favorevole al riarmo e ai termovalorizzatori? Quando non riescono a votare allo stesso modo neanche in Europa per tenere in vita Ursula Von Der Leyen? Quelli del Pd, venendo da una tradizione leninista come quella Pci-Pds-Ds, sono più disciplinati agli ordini di scuderia, ma quelli del Movimento fondato da Grillo e Casaleggio hanno sempre un fremito quando vedono perdere un nemico del popolo. Un tema già sollevato in più sedi, quello della fusione impossibile tra due elettorati che in origine si odiavano ed oggi mal si sopportano. Ma che potrebbe influire su tutto il processo di costruzione di un’alleanza. Come diceva Clemente Mastella a Romano Prodi “i miei non li tengo” e con questo alludeva all’orticaria che affliggeva i suoi parlamentari nel stare insieme ai comunisti di Bertinotti. E infatti quel governo cadde.
Ma se Giorgia Meloni cambierà la legge elettorale, eliminando le sfide nei collegi, allora il problema sarà più grande: perché gli elettori 5stelle saranno costretti a mettere una croce su un simbolo che potrebbe uscir fuori così: M5s per Schlein premier. L’indicazione del candidato a Palazzo Chigi sarebbe obbligatoria per i partiti coalizzati e verrebbe stampata sulle schede elettorali: bel guaio.
Se nel 2020 Eugenio Giani del Pd vinse con il 48,6 per cento dei voti praticamente da solo, contro una leghista battagliera come Susanna Ceccardi che a sorpresa incastonò un buon 40 per cento, il governatore uscente può ben sperare di farcela anche stavolta che gode dell’appoggio largo di un campo incerto ma ampliato ai famigerati 5 stelle. I quali, nel 2020, quando il perfido Matteo Renzi non mancava di rilevare la loro inconsistenza nella sua regione, riuscirono a sommare uno scarno 6,4 per cento con la loro candidata che correva in totale solitudine. Ecco, se domenica i 5stelle che appoggiano Giani sommassero meno voti della volta scorsa sarebbe un segnale inquietante per i cantori del “campo largo”.
E veniamo a Giorgia. Con una Lega terremotata da un buon risultato in Toscana targato Vannacci, la premier avrebbe tutto da perdere. E’ utile sapere che il Carroccio ha una elìte di graduati, i cosiddetti S.O.M. i soci ordinari militanti, quelli che hanno diritto di voto e di parola, acquisiti dopo un anno di volontariato, insomma dopo aver fatto i mozzi sulle navi. La categoria inferiore di iscritti sono infatti i soci sostenitori, che assomigliano ai votanti nei gazebo del Pd. Ebbene, se i tre governatori del Nord, Zaia, Fedriga e Fontana, scontenti di una vannacizzazione dell’antico Carroccio volessero reagire magari con una scissione, molti dei S.O.M. di fede autonomiste e nordista forse potrebbero seguirli.
E gli amanti del sovranismo e nazionalismo, degli alleati ai tedeschi di Afd e a Orban, verrebbero inghiottiti da una Lega salviniana in salsa Vannacci. Tutte fantasie e speculazioni. Per ora. Ma che danno l’idea di come un voto con esito scontato in una regione rossa potrebbe causare un imprevisto terremoto nell’emiciclo nero.
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