Quel formidabile inganno della democrazia

Dalle critiche di Carlo Rovelli ai paradossi strutturali dei sistemi democratici: ipocrisia e ideologia non ne segnano il fallimento, ma la natura imperfetta. Proprio questa tensione continua rende la democrazia diversa – e preferibile – alle sue alternative

Fabio BordignonFabio Bordignon
L'Aula di Montecitorio
L'Aula di Montecitorio

Ideologia e ipocrisia. Sono i termini che il fisico Carlo Rovelli, in un commento sul Corriere, ha accostato alla democrazia: «Parola vuota, ripetuta alla nausea, ridotta solo a coprire la feroce determinazione dell’Occidente ricco a difendere il proprio privilegio storico». Considerazioni che rispecchiano una diffusa insofferenza per come funziona la nostra democrazia. Che, a sua volta, induce molti a pensare che, tra la democrazia e le sue alternative, in fondo, non faccia poi tanta differenza.

La riflessione dello scienziato si sviluppa a partire dal dibattutissimo documento Usa sulla National Security Strategy, descritto come ragionevole e lungimirante, nel prendere atto del multilateralismo globale.

Per arrivare poi al conflitto con la Russia, di cui l’Europa, secondo Rovelli, non dovrebbe avere paura, nonostante i modi un po’ “bruschi” e “scomposti” – così, giusto per fornirvi il contesto.

Ma stiamo sul punto: la democrazia. L’analisi mette indubbiamente il dito in alcune “piaghe” dei sistemi democratici. Evoca, cioè, limiti e contraddizioni con i quali devono costantemente fare i conti.

A partire dai quali, tuttavia, è possibile giungere a conclusioni opposte a quelle di Rovelli. Ripartiamo allora dai termini citati in apertura: ipocrisia e ideologia.

Democrazia, dunque, è ipocrisia? In certo senso, è un suo tratto genetico. Riguarda la forma in cui (ri)nasce nella modernità, e il nome che sceglie di darsi.

Democrazia: letteralmente, potere del popolo. Una finzione, in tutta evidenza, visto che il potere, in quella che oggi chiamiamo democrazia, è esercitato dagli “eletti”, che possono portarlo ben lontano dal popolo: metterlo al servizio di interessi particolari.

Eppure, la democrazia, finché tale rimane, stabilisce anche i dispositivi che consentono, in qualunque momento, di smascherare tale ipocrisia.

In primis, la libertà di parola, il diritto di contestazione del potere: esattamente quello che esercitano i suoi critici – e, come spesso viene ricordato, non potrebbero fare altrettanto all’interno di altri regimi.

Democrazia, poi, è ideologia? Lo è, ad esempio, nel momento in cui si congiunge ai princìpi del liberalismo: quelli di cui fanno a meno, o desiderano sbarazzarsi, i regimi concorrenti. Ancor prima, la democrazia è un set di ideali. Parola tutt’altro che vuota. Si riempie, anzi, di valori: a volte in conflitto tra loro, tenuti in precario equilibrio. Princìpi verso i quali tendere, senza mai afferrarli in pieno.

Torniamo così alla dimensione dell’imperfezione. E della finzione. Visto che, come ci ricorda il filosofo Luigi Alfieri in un suo saggio, la democrazia “non esiste”, perché, al pari (e forse più) di qualsiasi altro regime politico, non può darsi in forma pura.

La democrazia delinea così – ideologicamente, sì – un’utopia. Un formidabile inganno, visto che, nella sua versione ideale, non si trova in alcun luogo.

Ma, finché resiste, fissa una meta verso la quale dirigersi. Quanto basta a tenere in piedi quei valori e quei princìpi che la democrazia realmente esistente, ogni giorno, ipocritamente, contraddice. Quanto basta a tenersi alla larga da altri luoghi dove, invece, tali valori e princìpi sono calpestati. 

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