Non basta “fare” AI: l’Europa deve imparare a usarla davvero

Mario Draghi avverte: senza un uso diffuso dell’intelligenza artificiale, l’Europa resterà indietro. Non servono solo algoritmi, ma competenze integrate, scuola rinnovata e regole che permettano di sperimentare senza paura per tornare protagonisti nell’innovazione

Fabrizio Dughiero
Draghi e la sfida dell’AI: perché l’Europa rischia la stagnazione se non cambia rotta
Draghi e la sfida dell’AI: perché l’Europa rischia la stagnazione se non cambia rotta

Quando Mario Draghi avverte che, se non adotteremo l’intelligenza artificiale su larga scala, saremo condannati alla stagnazione, non sta esagerando: descrive con realismo la nostra posizione. L’Europa non è al centro dello sviluppo degli algoritmi più avanzati: le grandi piattaforme nascono altrove. Questo però non ci condanna a un ruolo marginale. Il terreno sul quale possiamo giocare la nostra partita non è tanto la produzione di algoritmi, quanto l’uso diffuso e intelligente dell’AI in tutti i settori della società.

Non siamo di fronte a una “tecnologia emergente”. L’AI è già parte dell’infrastruttura digitale quotidiana: nei motori di ricerca, nei traduttori automatici, nei sistemi che generano codice e analizzano dati. Continuare a considerarla una curiosità per addetti ai lavori significa rinviare decisioni ormai non più procrastinabili.

L’intelligenza artificiale, inoltre, è un formidabile volano di integrazione tra saperi. Non è appannaggio esclusivo di ingegneri e informatici: per governarla servono competenze scientifiche, ma anche economiche, giuridiche, sociali e umanistiche. L’AI generativa funziona bene quando le vengono poste domande ben formulate; per farlo occorre conoscere la materia, avere chiara la logica del problema, padroneggiare il linguaggio. Matematica e informatica, quindi, ma anche italiano, storia, filosofia, capacità argomentativa. Pensare che l’AI renda superflue queste competenze significa fraintenderne la natura.

Sul fronte del lavoro il cambiamento è altrettanto profondo. Ricordare formule, eseguire calcoli, scrivere codice riga per riga tutte attività che, insieme a tante altre, possono essere svolte dall’AI con velocità e precisione superiori alle nostre. Il punto non è cedere tutto alle macchine, ma spostare la fatica di “forza bruta” sugli algoritmi e utilizzare il tempo liberato per ciò che è davvero umano: immaginare problemi nuovi, esplorare soluzioni originali, connettere ambiti apparentemente lontani. La creatività, il pensiero critico e la capacità di percorrere strade non ancora battute diventano la leva competitiva decisiva.

Questo vale in particolare per scuola e università. Nei miei corsi di teoria dei circuiti sto sperimentando l’uso dell’AI per la soluzione di reti elettriche: lo studente affronta l’esercizio, poi utilizza l’AI come tutor per verificare passaggi intermedi, ottenere spiegazioni alternative, controllare la coerenza del procedimento. Il docente non viene sostituito: progetta il percorso, seleziona gli strumenti, educa alla verifica delle fonti e al dubbio metodico. Quando usata così, l’AI non incoraggia la copia, ma accelera e approfondisce l’apprendimento.

In questo scenario entra in gioco anche la regolamentazione. Se nello sviluppo industriale siamo in ritardo, sul fronte delle norme l’Europa è in prima linea. È un primato che tutela diritti e libertà, ma che può diventare un freno se la prudenza precede sistematicamente la sperimentazione. Servono regole chiare che permettano di usare l’AI in modo responsabile, evitando sia il Far West digitale sia la paralisi per paura.

Il punto, in conclusione, è che tutto questo non riguarda un futuro distante: sta accadendo ora. Possiamo continuare a misurare il nostro ritardo rispetto ai grandi produttori di algoritmi oppure decidere di valorizzare ciò che abbiamo: una solida tradizione scientifica, una cultura umanistica profonda e un sistema di istruzione che, se orientato in questa direzione, può formare persone capaci di dialogare con l’AI invece di subirla.

Diventare campioni nell’uso consapevole e creativo dell’intelligenza artificiale – nella didattica, nella ricerca, nelle imprese e nella pubblica amministrazione – è forse meno spettacolare che lanciare l’ennesima piattaforma globale, ma può essere la via più concreta per riportare l’Europa in una posizione di protagonismo. E riguarda il presente, non il prossimo piano quinquennale.

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