Il Qatar, Trump e la Fifa: la possibile esclusione di Israele dall’Uefa e il calcio come motivo di conflitto

Il tentativo dell’organo europeo non è un titolo di merito, ma la conseguenza di tensioni geopolitiche. Doha spinge in questa direzione

Giancarlo PadovanGiancarlo Padovan
Il presidente dell'Uefa Aleksander Čeferin
Il presidente dell'Uefa Aleksander Čeferin

Quando la Russia invase l’Ucraina, lo sport internazionale e le istituzioni che lo rappresentano non ebbero dubbi, decretando, a volte in maniera perfino aggressiva, l’esclusione di quegli atleti e di quelle rappresentative dalle manifestazioni internazionali. Al contrario, da quando Israele attacca sistematicamente la Palestina e la Striscia di Gaza, nessuno al Cio (Comitato internazionale olimpico) o alla Fifa, una delle più importanti federazioni sportive, ha avuto qualcosa da ridire.

Ora che ci provi l’Uefa non è un titolo di merito, ma la conseguenza di un conflitto geopolitico al quale, naturalmente, non sono estranei gli interessi commerciali. Come tutti sanno, e anche il Times ricorda, il Qatar starebbe spingendo per una decisione radicale nei confronti di Israele.

Cosa c’entra il Qatar? C’entra per più ragioni. La prima: Doha è uno sponsor pesante dell’Uefa ed è rappresentata da figure influenti come Nasser Al-Khelaifi, presidente del Paris Saint Germain e, soprattutto, dell’Eca, la Lega dei club europei. La seconda è che il Qatar è profondamente irritato per la campagna di propaganda attuata da Israele dopo i recenti attacchi subìti, con l’accusa di essere covo di terrorismo e terroristi. Non bisogna, perciò, del tutto scandalizzarsi se lo sport – in questo caso il calcio – da strumento di convivenza può diventare ragione di conflitto, rovesciando così una sempiterna tradizione che richiamava perfino la sospensione delle guerre con la tregua olimpica.

La contrapposizione, se non proprio il conflitto, potrebbe anche investire l’Uefa – laddove passasse la sospensione di Israele – e la Fifa di Gianni Infantino, lo svizzero di origini italiane, aperto sodale di Donald Trump. Non foss’altro per la banalissima prospettiva di una Coppa del Mondo da giocare, l’anno prossimo, negli Stati Uniti, in Canada e nel Messico. Trump, ovviamente, è contrario all’esclusione di Israele e Infantino, anche per ragioni di primato personale, non vorrà certo subire una decisione dall’organo europeo che, dopo aver governato, ora detesta.

Certo, Infantino, da buon politico è amico, per ragioni di voti, anche di Paesi arabi, ma la sua ambiguità potrebbe presto essere smascherata dalla decisione dell’Uefa, non insensibile alla tragedia di Gaza se, ad agosto, proprio a Udine, in occasione della finale di Supercoppa tra Paris Saint Germain e Tottenham, aveva mostrato uno striscione con la scritta «Smettete di uccidere i bambini, smettete di uccidere i civili».

Già, Udine. Quando la nazionale israeliana deve scendere in campo in Italia, la città friulana sembra quasi una destinazione obbligatoria. D’accordo sulla grande capacità organizzativa dell’Udinese che gestisce lo stadio, e d’accordo sull’attività preventiva di prefetto e questore che garantiscono la sicurezza. Ma essere per due volte nel giro di un anno la sede di una partita che nessuno vuole è quantomeno anomalo.

Federcalcio nazionale e regionale possono sbandierare a buon diritto risultati assolutamente ineccepibili per quanto riguarda l’ordine pubblico, ma se Israele sarà effettivamente escluso, non ci sarà alcuna partita della quale discutere, disinnescando così tutto il potenziale polemico che avrebbe alimentato parti contrapposte.

Ma qualsiasi sia decisione finale, non sarà né lineare, né indolore. 

 

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