Le democrazie sono sempre più in crisi: quali soluzioni
Per resistere all’esercizio arbitrario del potere i corpi intermedi come sindacati e associazioni ricoprono un ruolo fondamentale. I toni indignati non servono a nulla

Nei primi cento giorni dell’amministrazione Trump i risultati raggiunti dal presidente sono stati nel complesso contraddittori e incerti, mentre più uniformi sono stati i molti commenti dal tono tra il rassegnato e l’indignato secondo cui il presidente stava distruggendo la democrazia americana senza nessun impedimento. Il problema però non è la presunta capacità di un uomo solo di provocare, e in poche settimane, la crisi o addirittura la fine della più antica e potente democrazia del pianeta; si tratta piuttosto di comprendere se l’indebolirsi dello stato di diritto non abbia motivazioni ben più antiche e profonde.
La democrazia non si riduce a un insieme di norme giuridiche, tanto meno alle sole regole elettorali. Alla base c’è qualcosa che non è stabilito in leggi, neppure nelle più illuminate tra le costituzioni. Sono anche e soprattutto le società che devono assicurare dei “contrappesi” all’esercizio arbitrario del potere da parte dei governanti, eletti o meno che siano.
Tra questi sono essenziali i “corpi intermedi”, a cominciare dai sindacati e dall’associazionismo, che difendono interessi e punti di vista che non sono (o non dovrebbero) essere totalmente riconducibili all’azione dei singoli partiti e che possono resistere anche all’azione autoritaria del potere.
Essenziale è poi l’esistenza di un’opinione pubblica che presti attenzione all’informazione indipendente e non solo alle voci più schierate, e sia disponibile almeno in parte a mutare posizione di fronte alla concreta realtà politica o agli scandali.
Inoltre, sebbene tutt’altro che egualitarie sul piano del reddito (gli Usa certo non lo sono mai stati), le società che hanno reso possibili le democrazie erano divise in classi sociali, non in ceti ereditari, tanto meno in caste: esisteva cioè una mobilità che non stabiliva ovviamente una vera parità, ma quanto meno frenava il formarsi di privilegi assoluti e permanenti.
Se il presidente americano può pensare di disfare in pochi mesi un sistema antico di secoli è perché le basi sociali del potere del popolo negli ultimi decenni si sono venute svuotando, attraverso un processo che non è stato adeguatamente compreso né tanto meno affrontato. I corpi intermedi, prima di tutto i sindacati, hanno perso voce e influenza soprattutto a causa dell’instabilità del lavoro, mentre molte unions e associazioni si sono trasformate in burocrazie sempre meno rappresentative, troppo spesso risucchiate nello scontro tra posizioni opposte di tipo politico-ideologico.
Nel mondo dei talk show e dei social non ci sono più organi di informazione riconosciuti come autorevoli, vedi il mitico Washington Post al tempo dello scandalo Watergate. Così gli scandali, anche i più gravi, possono essere dimenticati in pochi giorni. E le diseguaglianze, per azione di un capitalismo selvaggio, ma soprattutto incontrastato, si stanno rivelando capaci di creare anche in società “avanzate” vere e proprie caste o addirittura forme di apartheid. In questo clima, le elezioni rischiano di essere viste come puri e semplici plebisciti che danno a chi è “scelto dal popolo” la possibilità di estendere illimitatamente il suo controllo e di essere sempre meno controllato.
Di fronte a questa diffusa tendenza, i toni indignati non servono a nulla. Chi si vuole opporre alla deriva antidemocratica dovrebbe ricominciare un lavoro paziente e difficile dentro il corpo sociale, quello che nel corso di generazioni ha dato alla democrazia fondamenta che finora erano apparse solide e durature.
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