Conte decisivo per il futuro del campo largo
Giuseppe Conte si trova davanti a una scelta cruciale: sostenere o meno Matteo Ricci alle Marche. Il suo sì o no può determinare il destino del campo largo, l’alleanza con il Pd e il futuro delle opposizioni in vista delle politiche 2027

Ci sono momenti in cui un leader politico si gioca tutto. È capitato a Matteo Renzi quando mise la faccia sul referendum del 2016 sull’abolizione del Senato che invece lo proiettò fuori da Palazzo Chigi; capitò agli albori della seconda repubblica a Mario Segni, che rigettò l’alleanza con i progressisti di Achille Occhetto, cambiando il corso della storia d’Italia e gettando la sua ambizione politica alle ortiche.
Utile ricordare come andò: l’ondivago Segni, incerto se dar vita a una grande alleanza di cui poteva essere il leader, si risolse per un rifiuto agli ex comunisti, pur reduci dal bagno purificatore dalla falce e il martello, creando le condizioni per una vittoria di Silvio Berlusconi. E dopo quell’errore, uscì di scena.
Fatte le debite proporzioni, la situazione oggi nel campo delle opposizioni ricorda quel frangente. Giuseppe Conte, a dispetto dei maggiori consensi dei due partiti trainanti, FdI e Pd, in questo momento ha in mano il pallino delle prossime elezioni regionali. Che saranno un antipasto delle successive politiche del 2027: il leader dei 5 stelle si trova di fronte a un bivio cruciale, che può determinare il destino di una coalizione dei progressisti: se deciderà di sostenere Matteo Ricci, oggi candidato governatore delle Marche, coinvolto nell’inchiesta di “affidopoli” per la gestione di appalti quando era sindaco di Pesaro, ci sono buone probabilità (col beneficio di inventario vista la novità giudiziaria da poco emersa) che il “campo largo” dei progressisti possa strappare a Giorgia Meloni l’unica regione governata da un esponente di FdI, Maurizio Acquaroli.
Non a caso le Marche sono state ribattezzate l’Ohio delle regionali di autunno: se Meloni le perderà e il centrodestra conquistasse solo il Veneto sulle cinque regioni al voto, il riflesso nazionale di questa sconfitta si farà sentire.
Le opposizioni ne uscirebbero rafforzate, idem il progetto di mettere in piedi una grande alleanza da Renzi a Fratoianni, passando per il Pd, Avs e i 5s, anche per le politiche. Viceversa, la corsa di Ricci – che ha confermato di non volersi ritirare – partirebbe azzoppata e la partita delle regionali potrebbe terminare con un 3 a 2 per il centrosinistra: nessuna coalizione vincerebbe o perderebbe. La premier ci metterebbe la firma, Schlein meno.
Si capisce come questa scelta possa produrre un effetto domino. Mettendo innanzi a ogni altra considerazione politica il totem della legalità (dove basta un avviso di garanzia per vedere il proprio nome inciso nelle stele dei reprobi), Conte riporterebbe il M5s in uno splendido isolamento, inorgogliendo la base più oltranzista, ma provocando reazioni a catena: forse l’alleanza con il Pd in Campania andrebbe in soffitta e la destra potrebbe strappare anche quella regione, tramutando le regionali in un trionfo.
Lo strappo con il Pd in sostanza sarebbe difficilmente da ricucire. Viceversa, se Conte optasse per una scelta politica guardando a un orizzonte più lontano, dovrebbe disconoscere una parte della storia del Movimento per potersi giocare tra due anni o meno insieme a Schlein, Renzi e compagni, la partita più “alta” del governo della nazione. Bel dilemma, che mostra come oggi il pallino di queste regionali (e forse delle prossime politiche) sia in mano a una formazione che fatica ancora a definire la propria identità con una precisa scelta di campo in senso bipolarista. Come se mancasse un ultimo miglio per raggiungere la maturità. —
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