Tra chicchi di caffè e inflazione percepita

La corsa del prezzo del caffè potrebbe avere per l’economia un ruolo analogo a quello che ebbero un tempo i canarini in miniera: dare l’allarme per la presenza di gas tossici

Francesco Morosini
Chicchi di caffè: ecco il legame con l'inflazione percepita
Chicchi di caffè: ecco il legame con l'inflazione percepita

Che c’entra il prezzo del chicco di caffè con le perdite di Bank of Japan e le frenesie debitorie del governo a Tokyo? Zero, in apparenza. Eppure, questo accostamento un brivido potrebbe darlo. La corsa del prezzo del caffè potrebbe avere per l’economia un ruolo analogo a quello che ebbero un tempo i canarini in miniera: dare l’allarme per la presenza di gas tossici.

Analogamente, il prezzo del caffè materia prima dovrebbe ricordare ad Autorità monetarie e politiche che l’inflazione è piegata, ma la brace sotto cenere è calda.

Certo, prezzo del caffè e inflazione macroeconomica vanno distinti. Il primo paga pegno a fattori esogeni all’economia (la siccità, i mutamenti del clima); inoltre, a differenza del petrolio, è di consumo immediato più che un «bene per produrre altri beni». Di conseguenza i rialzi del prezzo del caffè hanno pochi effetti di trascinamento. Eppure le sue vicende meritano attenzione.

Ha ragione Andrea Illy, come riportato qualche giorno fa su questo giornale, a sottolineare che sul prezzo del caffè impattano variabili extraeconomiche. Resta il fatto che, se il prezzo del caffè cresce, per il consumatore è segno di inflazione generale. Quest’ultimo ragiona diversamente dall’economista, che pensa all’inflazione come variazioni nel tempo di un indice di prezzi.

All’opposto, per il consumatore conta il livello raggiunto dai prezzi sugli scaffali dei negozi. Se si aggiunge che il caffè è in compagnia di altri prodotti soprattutto alimentari, anch’essi rincarati, allora i prezzi alla distribuzione divengono percezioni collettive di caduta del potere di acquisto; cioè di malessere politico. Di conseguenza, la popolazione nel suo insieme è indotta a pensare che l’inflazione sia definitivamente piegata è solo un’illusione o, peggio, una bugia. Insomma, quello che accade al caffè ha valenza generale; e, come il ricordato “canarino”, segnale che c’è tensione sui prezzi.

La microeconomia del caffè riproduce al proprio interno le problematiche dell’intero sistema mondo. A partire dall’impatto delle tensioni geopolitiche sulla sua logistica. Ad esempio, gli aspetti bellici attorno al Canale di Suez e all’imbocco del Mar Rosso ne allungano la logistica, peggiorandone i costi. Poi il caffè, che appartiene alle soft commodities (beni coltivati, allevati invece che estratti), risente con esse di un mondo finanziario ipersensibile alle difficoltà e perciò orientato a coprirsi dai rischi ricorrendo al rialzo dei prezzi.

Poi c’è l’impatto ambientale: dal lato del caffè, come spiega il presidente di Illycaffè, ciò richiede innovazione di lettura culturale e conseguentemente di strategia. Le novità sono pure rischi che i mercati, come visto, prezzano al rialzo. Vale per il caffè e vale anche in ambito macro.

Di qui il richiamo iniziale e preoccupato al Giappone. Perché Tokio risponde a queste sfide con tanto debito pubblico sterilizzato negli interessi dalla Bank of Japan. Il rischio possibile è: perdita di credibilità di Bank of Japan medesima, esplosione dei tassi e inflazione al contempo. Si dirà che il Giappone è lontano. Peccato che analoghe tentazioni ci siano in Usa e nell’Ue: fare debito monetizzato dalla Banca centrale. L’inflazione è una possibilità messa in conto come la via più indolore per finanziare le varie transizioni. Illusione? Probabile.

Il prezzo del caffè, merita ripeterlo, fa da spia: nel sapore e nel piacere della tazzina si trovano infatti raccontate l’economia-mondo nonché le sue insidie. 

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