Il berlusconismo vive: l’inaspettata resistenza di Forza Italia
Il partito guidato da Tajani a due anni dalla morte di Berlusconi gode ancora di buoni sondaggi. E nella maggioranza cerca di far valere le proprie specificità

Lo ammetto, sono tra quelli che hanno sempre pensato che un partito personale non possa sopravvivere al suo fondatore. A questo proposito, il caso di Forza Italia è paradigmatico. Di grande interesse: scientifico, ma anche per il futuro della maggioranza che governa il paese. All’interno della quale proprio la formazione guidata da Antonio Tajani sta marcando, in questi giorni, la propria specificità.
Due anni dalla scomparsa dell’uomo di Arcore sono forse troppo pochi per giungere a delle conclusioni. Per ora, il partito “vive”: secondo i sondaggi oscilla tra l’8 e il 9%, in competizione interna con la Lega. E fa ancora affidamento sul vecchio brand personale, con il nome del leader in bella vista sul simbolo: “Berlusconi Presidente”.
La successione non è – per ora – avvenuta per via dinastica. Anche se, come rivelato nei giorni scorsi da Open, la famiglia continua a sostenere il partito, con ingenti donazioni da parte dei figli, del fratello, della compagna. Un aspetto che supera il legame affettivo. Visto che FI, oltre che prototipo del partito personale, costituisce anche un caso di successo di partito-azienda. L’azienda di famiglia, per l’appunto.
Il berlusconismo, naturalmente, potrebbe persistere a lungo come etichetta politica. Un po’ com’è stato per il gollismo e i gollisti in Francia. In questo senso, si potrebbe persino sostenere che l’erede più autentica sia in realtà Giorgia Meloni. Ma la premier proviene da una storia almeno in parte diversa. Nel frattempo, al timone della creatura politica di Berlusconi c’è lui: Tajani, il delfino sfuggito alla lunga serie di delfinicidi e trovatosi a gestire la successione.
È del tutto comprensibile il tentativo del leader azzurro di trovare, per FI, uno spazio politico autonomo. Distinto anzitutto da quello degli avversari interni della coalizione. Enfatizzando la dimensione moderata e centrista. La ciclica riproposizione del progetto sullo ius scholae, invece, è evidentemente congegnata come azione di disturbo a Salvini, sulle questioni a lui più care. Anche a costo di proporre una voce (parzialmente) dissonante sul punto che forse maggiormente unifica la destra: quello del no all’accoglienza.
Nel referendum sulla cittadinanza di qualche settimana fa, come noto, ha largamente prevalso l’astensione, come per gli altri quesiti. Ma con una quota inferiore di sì (65%). Le stime dei flussi calcolate dall’Istituto Cattaneo mostrano come gli elettori di FI abbiano perlopiù optato per il non-voto. Come gli elettori di centro-destra in generale. Anche se nel caso di FdI e Lega i “no” sono stati in numero sensibilmente superiore. Il progetto sullo ius scholae è effettivamente diverso rispetto a quello perseguito dalla fallita consultazione: nella proposta di Tajani, secondo molti osservatori, cambierebbe davvero poco rispetto al quadro esistente. Sta al leader riuscire a spiegare questa battaglia agli elettori. Anzitutto ai propri. Sintonizzandosi con l’opinione pubblica. Per non contraddire la prima regola aurea del berlusconismo: mai discostarsi dagli orientamenti prevalenti nell’elettorato. E continuare a vivere. Smentire le previsioni più fosche e ribadire una (sorprendente) capacità di tenuta.
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