Al Cremlino non basterà il “male minore”
Kaja Kallas, Alto rappresentante (sulla carta) per la Politica estera Ue: «Non finirà col Donbass: se Putin l’ottiene, vorrà di più»

C’è una dichiarazione di Friedrich Merz che riassume lo stato d’animo della maggioranza degli europei sulla questione ucraina.
«Proprio come i Sudeti non furono abbastanza nel 1938 (per Hitler, ndr), Putin non si fermerà», ha detto il cancelliere federale nel fine settimana, e non può essere cosa da poco se un tedesco tira in ballo l’orrendo austriaco coi baffetti e lo paragona al presidente russo.
«Non finirà col Donbass: se l’ottiene, vorrà di più», incalza l’estone Kaja Kallas, Alto rappresentante (sulla carta) per la Politica estera Ue. Al loro fianco, col pensiero a Kiev e il muso duro rivolto al Cremlino sono i baltici, i nordici, i polacchi, gli olandesi, la Francia, la Spagna, il Lussemburgo e persino la neutrale Irlanda.
Una manciata di Paesi segue irresoluta, mentre Ungheria, Cechia e Slovacchia indossano il cappello da frenatore, e l’Italia bascula fra chi sogna il riscatto dell’Europa e chi attende la vittoria del caro Vlad. Nella capitale a dodici stelle l’imminenza di una lunga guerra asimmetrica è quotata bassa dagli allibratori della geopolitica.
L’Europa si è indebolita da sola, negli ultimi anni, e Donald Trump ambisce a darle il colpo di grazia. Giusto una settimana fa, in un incontro con il meglio della bolla comunitaria, l’ambasciatore americano presso l’Ue Andrew Puzder (di origine slovacca) risulta aver auspicato che l’Unione farebbe meglio a non diventare gli Stati Uniti d’Europa, che le nazioni sovrane devono rimanere indipendenti, e che le capitali dovrebbero cooperare economicamente per prosperare un po' e aprire i mercati individuali ai prodotti americani.
Washington desidera insomma un continente di consumatori pasciuti senza volontà autonoma, non un gruppo di Paesi uniti dalla passione per i diritti e le identità consolidate nella differenza dopo secoli di guerre.
L’istinto suggerisce a Trump di eliminare ciò che teme e non capisce, pertanto odia i vecchi amici di Bruxelles ma non Putin. Il cristiano democratico Merz, col francese Macron e il britannico Starmer, è convinto che le prospettive di pace siano direttamente proporzionali alla qualità della tregua ucraina: “Senza il piano per Kiev, saremo danneggiati severamente per molti anni”.
Alla vigilia di un vertice dei leader davvero cruciale (giovedì e venerdì a Bruxelles), gli sherpa lavorano per dare un segno forte a Mosca (usando i 270 miliardi congelati russi per aiutare Kiev) e spingere, con gli americani, lo zar Vlad a siglare una tregua fondata sulla smilitarizzazione dei territori occupati dal 2022.
È l’ipotesi del “male minore”, sebbene si ammetta che il Cremlino vorrà qualcosa di più. Così per sedare gli appetiti di Putin, l’Unione punta sulla sua forza teorica - quella che disturba Trump -, sulla ripresa dei commerci e sulla Nato, ma pure sul doppiogioco affaristico dello zio Sam.
C’era uno yankee di nome Mark Twain che invitava a fare ciò di cui si ha paura per vincere ogni paura, cioè il contrario della dottrina di The Donald.
Sotto un cielo dove anche i venti sono armati, insieme con il ripensare gli eserciti per affrontare guerre che non avranno nulla di convenzionale, è il solo atteggiamento che permetterà ai Ventisette di mantenere in piedi l’Unione e proteggere la pace che essa ci ha dato sinora.
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