Un maggiordomo nel lusso del St. Regis: «Vogliamo essere l’albergo dei veneziani»

VENEZIA. Dalle montagne di Merano a Bacino San Marco, dopo aver lavorato in giro per il mondo; globtrotter nell’anima, a suo agio tra bagagli da fare e disfare, lì dove ci sono ospiti da accogliere con ogni riguardo, offrendo servizi che si superano l’uno con l’altro, come il maggiordomo a disposizione fuori dalla porta della camera.
Dopo Barcellona, Hong Kong, Milano e Doha, Patrizia Hofer è approdata in laguna, dove aveva studiato a Ca’ Foscari, come general manager di The St.Regis Venice, hotel di lusso fresco di restauro che l’ha proiettato nel futuro omaggiando il passato. Arrivata a metà estate, Patrizia Hofer si è trovata a dirigere l’albergo della catena Marriott tra due lockdown, in condizioni delicatissime, nella città semi deserta, quasi senza stranieri, sicuramente senza americani né orientali.
Tra le molte cose che poteva fare, o non fare, la general manager ha deciso di tenere l’albergo aperto. Sempre. Tutto. I saloni, ristoranti, la biblioteca, la ghirlanda delle diciassette terrazze affacciate sul Canal Grande, la Spa. Anche nei giorni più bui, «perché tanto i costi ci sono lo stesso».
La stragrande maggioranza degli alberghi invece ha preferito chiudere.
«A volte costa meno restare aperti che chiudere. Se l’albergo resta aperto, significa che lo mantengo bene. Per noi è un investimento. E poi voglio che l’albergo abbia una connessione con i veneziani, soprattutto in questo periodo».
Lei è arrivata ai primi di agosto, che impressione ha avuto?
«La città era quasi vuota però il turismo stava rincominciando a muoversi. C’erano tedeschi, e poi austriaci, svizzeri. Si capiva che la gente aveva di nuovo voglia di viaggiare ed era percepibile una sorta di orgoglio europeo».
Ha trovato un albergo interamente rinnovato.
«Il restauro è stato radicale, ora abbiamo una struttura che è un’oasi di lusso nel cuore di Venezia».
Cos’è la cosa più lussuosa del lusso?
«Ad esempio abbiamo il servizio butler. Il maggiordomo chiama l’ospite prima che arrivi in albergo, s’informa dei suoi gusti, dei suoi desideri; poi va a prenderlo all’aeroporto, lo accompagna a fare shopping, si occupa delle prenotazioni, pulisce le scarpe».
Una specie di ombra.
«Ogni cliente ha il suo butler, ogni butler adotta il cliente».
Diceva che vuole accogliere i veneziani.
«Sì, è uno dei nostro obiettivi. Non vogliamo essere l’albergo frequentato dai residenti soltanto durante la Biennale. Vogliamo avere i veneziani tutto l’anno. Stiamo creando per loro qualcosa di diverso, con uno spirito più giovane, contemporaneo e artistico».
Come vi state preparando per la ripresa?
«Abbiamo predisposto alcune promozioni invernali come il “Taste of Luxury” o “Dine Exquisite”. Appena possibile riaprirà l’Arts Bar, che sarà un bar per il dopo cena, un po’ dark, con la terrazza per fumare il sigaro. In questo mese stiamo facendo anche l’afternoon tea all’italiana. E poi c’è il nostro ristorante con l’executive chef Nadia Frisina».
Qualche previsione per il prossimo anno?
«Attendiamo la crescita del turismo dopo marzo. Fino ad agosto lavoreremo prevalentemente con il mercato italiano ed europeo».
Qual è il segreto per far felice il cliente?
«Ascoltare le sue preferenze, non deludere le sue aspettative, sorridere, far sì che l’albergo diventi un’estensione della casa».
Non sarà sempre facile.
«Non sempre. A Barcellona, una volta, una cantante pop americana molto famosa chiese una camera bianca, dove tutto doveva essere bianco. Avevamo solo un giorno di tempo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta». —
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