Traffici in ripresa nel Mediterraneo, ma Suez infiamma i prezzi dei noli

La guerra russo-ucraina, che incombe sull’Europa, e quella tra Israele e Hamas, che riversa i suoi effetti sui traffici di Suez, stanno incidendo, sia direttamente che indirettamente, sui traffici dei porti dell’area euromediterranea.
La crisi del Mar Rosso ha completamente dimezzato i transiti sul canale di Suez mentre la nuova rotta dei traffici è costretta a passare dal Capo di Buona Speranza: fra gennaio e giugno 2024 i transiti medi giornalieri di Suez si sono ridotti a 37 passaggi dai 71 dell’anno precedente mentre attraverso Buona Speranza tra gennaio e giugno 2024 sono passate in media 99 navi al giorno. Il mondo dello shipping ha però parzialmente riassorbito la crisi. Lo sostiene l’ultimo dossier di Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) che ha presentato l’undicesimo Rapporto Annuale «Italian Maritime Economy» sulle nuove sfide dei porti dell’area euromediterraneo.
Nonostante le crisi economiche e finanziarie e l’impatto di quest’era di conflitti, lo scorso anno il commercio via mare globale, che da solo muove il 90% di tutte le merci, è cresciuto del 2,2% arrivando a 12,3 miliardi di tonnellate. Le previsioni quest’anno parlano addirittura di un consolidamento della crescita del 2,4% nel 2024 e del 2,6% nel 2025. Una situazione che premia il Mare Nostrum. Il consensus sulle stime prevede infatti, nonostante i conflitti, una crescita media annua al 2028 dei traffici container del Mediterraneo di poco più del 3% contro il 2,5% della media mondo.
Come effetto collaterale si sta scatenando una nuova guerra dei prezzi dei noli container che toccano ormai punte del +306% (sulla rotta Shanghai-Genova) rispetto all’anno scorso. Tutto ciò mentre i primi 20 vettori marittimi container al mondo hanno quasi raddoppiato la loro quota di mercato, passando dal 48% di quindici anni fa al 91% del 2024.
Il rapporto analizza le dinamiche congiunturali che interessano il settore e si soffermano sugli impatti generati dalle tensioni nel Mar Rosso su rotte, noli, costo delle materie prime e, più in generale sulla fluidità delle catene logistiche globali con particolare riferimento ai traffici Mediterraneo-Far East e viceversa. In questo scenario i traffici si “regionalizzano” aumentando il peso strategico dei porti del Mediterraneo anche come hub industriali ed energetici. Inoltre il progressivo rafforzamento delle rotte a corto raggio aumenta la spinta al nearshoring di diverse imprese, dall’Asia, all’area mediterranea, soprattutto in Turchia, Egitto e Tunisia, anche per ridurre il rischio di futuri choc globali. Un fenomeno ribadito dai numeri: il traffico marittimo a corto raggio ha registrato nel 2024 il dato più forte di sempre a livello europeo, con quasi 600 milioni di tonnellate movimentate. Come spiega Massimo Deandreis, direttore generale Srm «l’economia marittima — è uno dei pilastri su cui si regge l’insieme del sistema produttivo nazionale ed europeo poiché è soprattutto attraverso shipping, portualità e logistica che si muove l’import-export nazionale ed europeo.
Sfide che passano innanzitutto dalla riconversione energetica. Il rapporto stima che sono necessari investimenti per 80 miliardi di euro per far diventare l’Europa un modello portuale più efficiente e più green. I porti come Trieste stanno sempre più diventando degli hub energetici, mentre lo shipping con la sfida dei carburanti alternativi e la logistica attraverso l’intermodalità, stanno stimolando gli investimenti “green” anche nel nostro Paese». Oltre il 70% dei porti prevede di investire nella fornitura di elettricità alle navi.Su scala mediterranea o porti e lo shipping italiani sono sempre protagonisti: il 28% dell’import/export in valore e il 50% in quantità utilizza la nave mentre il Ro-Ro è cresciuto nel decennio del 50%. Come sottolinea Alessandro Panaro, responsabile Maritime &nEnergy di Srm, nella top-10 dei porti Mediterranei ben otto sono italiani con il 40% del traffico ro-ro dove i principali partner sono Turchia (12%), Grecia (10%) e Spagna (10%).
Si profila però l’ombra dei dazi sulle auto cinesi che, sottolinea il rapporto, rischia di avere un impatto del 2,6% sul commercio di auto globale.
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