Top100, tutti i volti del Nordest-locomotiva

CREATORI DI VALORE
Cento imprese eccellenti raccontate nei numeri di bilancio e nei volti che certificano il loro legame con i territori. È una delle chiavi di lettura di Top 100 di Nordest Economia, il magazine di 172 pagine edito da Gedi News Network in abbinamento con il Mattino di Padova, La nuova di Venezia-Mestre, il Corriere delle Alpi, la Tribuna di Treviso, Il Messaggero Veneto, Il Piccolo.
Un’operazione inedita e ambiziosa, quella condotta in collaborazione con Fondazione Nord Est e PwC, perché per la prima volta vengono messe in fila e quindi offerte alla comparazione le cifre chiave dei bilanci 2017 relativi alle cento maggiori aziende di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige.
Volkswagen, Eurospin, Fincantieri, Lidl Italia, Veronesi, Danieli, Gruppo Pam, Hera Trading, Gruppo Unicomm, Finbre. Nei primi dieci posti della Top 100 è già sintetizzato l’identikit delle aziende al vertice del Nordest delle imprese.
Internazionali, non solo come mercati ma anche come presenza di gruppi multinazionali, con una forte componente della grande distribuzione organizzata e del commercio, ma anche dell’industria. Sono “top” non solo per la dimensione, ma anche per la capacità di creare valore, di reinvestire in azienda, di aprire al capitale e ai mercati, di comunicare finanziariamente all’esterno secondo standard internazionali. Le Top 100 fanno emergere un ritratto inedito del territorio. Dove la dimensione non è l'unico elemento per determinarne il ruolo di leadership del territorio.
LE NUOVE SFIDE

La punta di diamante del capitalismo del Nord Est sembra godere di ottima salute. Nel loro insieme le prime 100 imprese per fatturato presentano infatti bilanci molto positivi, in alcuni casi davvero brillanti. Si tratta certamente di una fascia di imprese speciali: nessuna ha un valore delle vendite inferiore a 350 milioni e ben 30 superano il miliardo di euro.
Ci sono tutti i marchi noti dell'industria privata del Nord Est: da Luxottica a De Longhi, da Calzedonia a Diesel, dal gruppo Aia al Caffè Illy, dalle acciaierie Beltrame agli impianti Danieli. Emergono tuttavia anche i gruppi di origine pubblica, come Fincantieri, Hera, Asco, Autobrennero. E svettano catene commerciali come Eurospin, Lidl, Pam, Unicom, Despar, con volumi di vendite da due a cinque miliardi di euro.
Nel 2017 il fatturato complessivo di questo gruppo di imprese leader del Nord Est ha sommato quasi 100 miliardi di euro, in crescita del 9% rispetto al 2016, con un margine lordo cresciuto addirittura del 20%. Tutti gli indici di reddittività sono in miglioramento, in particolare i profitti sui mezzi propri (Roe), che segnalano come chi ha deciso di investire in buone aziende ha ottenuto rendimenti molto soddisfacenti, per un terzo dei casi addirittura superiori al 20%.
Certo, non mancano alcune criticità, per altro note, come le pesanti perdite registrate da Safilo e Benetton, che tuttavia non sembrano destare allarme se si guarda alla consistenza del patrimonio e alle strategie di rilancio che dovrebbero dispiegare i primi risultati nei prossimi anni.
Imprese sempre più globali. Già una prima lettura sulle prime 100 imprese del Nord Est mette in luce alcuni elementi di complessità dell'economia regionale. Innanzitutto che ai vertici per fatturato non c'è una tipica industria del Made in Italy bensì un'impresa logistico-commerciale controllata dal gruppo Volkswagen, che funziona come base per la vendita di auto sul nostro mercato, ma anche come piattaforma per la componentistica automotive italiana. In realtà, l'organizzazione internazionale, non solo la vocazione all'export, è un tratto peculiare delle imprese maggiori del Nord Est.
Togliendo le utility a capitale pubblico e i gruppi nazionali della distribuzione organizzata, praticamente tutte le grandi imprese sono di fatto parte o al centro di gruppi multinazionali. Ciò induce a ritenere che il legame con il territorio di queste imprese sia un processo destinato a modificarsi nel tempo in base alle convenienze che si creano nei diversi contesti dell'economia globale. Un tema, questo, di notevole rilievo se pensiamo che oltre all'impatto diretto in termini di occupazione, ognuna di queste grandi imprese attiva reti di fornitura che possono coinvolgere centinaia di piccole e medie aziende.
Dialogare con questo gruppo di imprese leader dovrebbe dunque essere parte fondamentale di una politica industriale responsabile, il cui obiettivo è creare condizioni favorevoli per attirare e ancorare gli investimenti produttivi al territorio, senza tuttavia ostacolare lo sviluppo internazionale delle catene del valore. In un'economia aperta, il pericolo di politiche protezionistiche miopi da parte delle istituzioni nazionali è, paradossalmente, spingere ancora di più le imprese migliori all'estero, con una perdita di ricchezza, competenze e know-how che può estendersi a intere catene di fornitura, penalizzando in misura profonda la competitività dell'economia nazionale.
Le nuove sfide e i segnali di cambiamento. Se la fascia alta del capitalismo del Nord Est sembra godere di buona salute finanziaria, ci sono tuttavia nuove sfide che vengono dall'evoluzione dei mercati globali, non meno che da cambiamenti della nostra società.
La prima sfida è collegata al pericolo di un ritorno in Italia alla crescita zero. Infatti, se i deludenti dati congiunturali della seconda metà del 2018 saranno confermati, i brillanti bilanci registrati nel 2017 da molte aziende rischiano di diventare un amaro ricordo.
Il rallentamento della crescita interna tocca soprattutto le reti della distribuzione organizzata, che dipendono evidentemente dalla propensione al consumo, perciò dai livelli di reddito e dalla fiducia delle famiglie.
Ma il rallentamento interessa anche i gruppi del Made in Italy aperti ai mercati globali, per i quali la domanda domestica non influisce tanto sui volumi di vendita, ma sugli stimoli forniti da stili di vita sofisticati e da comunità di consumatori esigenti. Un'altra sfida viene dalle tendenze protezionistiche che, a partire dagli Usa, si stanno affermando in altri mercati chiave, quali Cina, Russia, America Latina.
Di fronte a queste tendenze le imprese maggiori del Nord Est saranno indotte ad accentuare la loro organizzazione multinazionale, spostando fasi di produzione nei mercati prossimi al consumo. Come già detto, ostacolare questo processo sarebbe controproducente.
Piuttosto, affinché le trasformazioni in atto non producano solo perdite per il territorio, è necessario che nella base domestica delle imprese si sviluppino nuove competenze tecniche e manageriali, insieme a nuovi modelli di governance, che premino il coinvolgimento dei lavoratori e delle reti di fornitura nei processi di innovazione. Certo, questa sfida non può essere vinta solo dalle imprese. Istituzioni politiche, finanziarie e formative – in primis l'Università – devono fare la loro parte, dialogando più intensamente con i gruppi industriali maggiori per realizzare progetti di modernizzazione economica e sociale del territorio.
Tuttavia la componente più importante del capitalismo del Nord Est dovrà farsi carico di nuove responsabilità sociali e politiche verso le quali si è finora mostrato riluttante. Se non è immaginabile che il territorio possa fare a meno di imprese così importanti, tuttavia la competitività di queste imprese dipende anche da una comunità produttiva locale che ne riconosce il ruolo, ne alimenta dal basso l'innovazione e ne accompagna lo sviluppo. La prosperità futura del Nord Est dipenderà anche da questa nuova reciprocità.
(Giancarlo Corò)
L'ATTRATTIVITA'

Le 100 imprese più importanti del Nord Est per volume dei ricavi rappresentano un osservatorio privilegiato per fare alcune considerazione sul livello di apertura internazionale e sull’attrattività delle tre regioni. Per ricostruire una mappa del processo di internazionalizzazione attiva e passiva del tessuto economico nordestino sono state utilizzate le informazioni (ricavate dalla banca dati Aida di Bureau Van Dijk) che riguardano gli investimenti esteri (IDE) in entrata (partecipazione di multinazionali in imprese nordestine) e in uscita (partecipazione di imprese nordestine in aziende di altri paesi) che permettono una lettura più articolata del fenomeno rispetto alla sola analisi dei flussi commerciali.
Il primo dato che emerge è che se consideriamo le 75 imprese TOP 100 per le quali è possibile risalire al “proprietario ultimo” in 16 casi la proprietà è in mano a soggetti stranieri. Il dato non deve sorprendere. Nel 2017 le imprese del Nord Est a partecipazione estera (un concetto più “soft” rispetto a quello di “proprietario ultimo”) erano 1.925 (13.052 in Italia) e davano lavoro a quasi 155 mila addetti per un fatturato totale di oltre 55 miliardi di Euro. Si tratta di un fenomeno in crescita: nel 2009 le imprese nordestine a partecipazione estera erano 1.492, sono quindi aumentate di quasi il 30% in otto anni.
Se si considera l’altra “faccia della medaglia” si scopre che le imprese nordestine hanno partecipazioni in quasi settemila realtà estere in cui lavorano 256 mila addetti per un fatturato di poco più di 40 miliardi di Euro. Tra le TOP 100 in classifica solamente 25 non hanno partecipazioni all’estero, una condizione che si concentra tra le imprese nel settore delle utilities e in quello della distribuzione organizzata e che molto probabilmente riflette più fattori legati ai due settori che scelte strategiche.
Il tema delle partecipazioni da parte di imprese del Nord Est in imprese straniere può essere affrontato secondo una prospettiva interna all’azienda: esiste un assetto organizzativo capace di garantire i migliori risultati? Una serie di ricerche condotte sul campo dimostrano che le aziende che hanno deciso di aprire la governance attraverso l’attribuzione di importanti deleghe decisionali a membri esterni alla famiglia fondatrice ottengono come risultato un rafforzamento strategico, organizzativo e finanziario che consente loro di affrontare con maggior probabilità di successo i processi di internazionalizzazione.
Il tema della managerializzazione dell’imprese è strettamente collegato alla capacità di attirare le “persone giuste” e non solo a livello di top e middle management. Lo sviluppo di progetti articolati di presenza all’estero pone, infatti, nuove sfide nell’ambito del capitale umano. Come riuscire a selezionare e poi gestire il personale italiano all’estero, gli expatriate? Come attirare e selezionare forza lavoro in mercati lontani di cui spesso non si conoscono le logiche di funzionamento? La creazione di organizzazioni sempre più aperte sul piano internazionale impone altre questioni come quella relativa alla gestione della multiculturalità in azienda che non riguarda solamente le sedi estere ma anche quelle italiane. Managerializzazione dell’impresa e gestione del capitale umano ai diversi livelli (top e middle management e figure operative) diventano quindi temi cruciali nella gestione dei progetti di internazionalizzazione delle imprese nordestine.
Se ci si concentra sul secondo fenomeno, la presenza a Nord Est di imprese straniere, l’analisi non può che riguardare l’impatto che gli investimenti dall’estero producono sul tessuto produttivo che li accoglie. In questo caso il dibattito spesso assume toni schizofrenici. Si passa dalla richiesta di misure per rendere il Nord Est (e l’Italia) un posto più interessante in cui investire (e quindi per attrarre un maggior volume di investimenti dall’estero) alla difesa dell’italianità delle imprese. Proviamo a riassumere i punti del dibattito.
In linea di principio gli investimenti diretti dall’estero sono apprezzati e ricercati e vengono visti come un’opportunità importante di crescita. L’investimento di una impresa straniera genera, infatti, una serie di benefici che potremmo riassumere nella possibilità di accedere a tecnologia e know how stranieri, nella creazione o nel mantenimento di posti di lavoro ma anche nell’opportunità di proiettare il sistema produttivo locale in circuiti internazionali.
Dall’altra parte quando l’investimento estero non prevede la costituzione ex novo di una filiale nel Nord Est (investimenti detti greenfield), ma si materializza nell’acquisizione di un’impresa esistente spesso l’atteggiamento verso gli IDE diventa ostile e si passa dalla richiesta di politiche per attrare investimenti a quella di difesa dell’italianità delle imprese.
L’argomentazione più frequente in questi casi riguarda l’atteggiamento “predatorio” degli investitori stranieri che attraverso queste operazioni mirerebbero ad appropriarsi della tecnologia, dei marchi, dei brevetti e dei mercati dell’impresa acquisita. Argomentazioni che assumono maggior frequenza quando l’acquirente proviene da un paese emergente. Alcuni recenti studi hanno dimostrato che oltre alle imprese predatrici tra le multinazionali dei paesi emergenti ci sono imprese che cooperano intensamente nelle reti locali di innovazione con aziende e università del territorio.
Si creano occasioni, quindi, di scambio di conoscenza: la casa madre nel paese emergente trae conoscenze da lavoratori, fornitori e università locali ma al tempo stesso gli attori locali traggono vantaggio dall’interazione con la multinazionale acquisendo informazioni per lo sviluppo di nuovi prodotti o modelli di management adeguati ai paesi emergenti.
Per ottenere un equilibrio in cui si generano effetti positivi sull’economia dei paesi riceventi è necessario che si attivi uno scambio di conoscenze e di esperienze tra la multinazionale e gli attori locali. Molto dipende, quindi, dalla capacità di un ecosistema dell’innovazione di risultare “interessante” per una multinazionale straniera. Le politiche finalizzate all’attrazione di investimenti dall’estero e quelle per la promozione e lo sviluppo dei sistemi locali di innovazione per massimizzare l’efficacia dovranno tenere sempre più in considerazione questo aspetto.
(Gianluca Toschi, Fondazione Nord Est)
CRESCITA E VALORE AGGIUNTO

Sempre più spesso le aziende del Nordest sono portate come esempi virtuosi nel panorama economico italiano. L’analisi dei bilanci delle prime 100 aziende per fatturato di quest’area non fa che confermare la solidità del tessuto economico in cui esse hanno sede ed i segnali di crescita registrati nel 2017 rispetto all’anno precedente.
Le Top 100 del Nordest hanno generato un fatturato aggregato di circa 97 miliardi di Euro, in crescita del 9% rispetto all’anno precedente; per l’84% delle imprese, si è registrata una crescita dei ricavi anche rispetto al 2016. Da evidenziare che nel 40% del campione l’aumento ha addirittura superato il 10%.
Se il fatturato rappresenta un’approssimazione della dimensione aziendale, il vero obiettivo del fare impresa è la produzione di valore aggiunto. In particolare, l’EBITDA è un indicatore di redditività che evidenzia il reddito di un'azienda basato solo sulla sua gestione operativa: essendo approssimazione del valore dei flussi di cassa prodotti, esso è utilizzato per calcolare il valore dell’azienda.
L’EBITDA aggregato delle Top 100 è pari a 8 miliardi di Euro, contro i 7 miliardi del 2016. Il valore medio del margine in rapporto ai ricavi è dell’8,2%, in miglioramento dello 0,4% rispetto all’anno precedente. Inoltre, nel 70% dei casi analizzati l’EBITDA è in crescita rispetto all’anno precedente.
In circa la metà delle imprese o gruppi l’incremento dei volumi si è accompagnato ad un incremento della marginalità, a dimostrazione di un’estrema dinamicità nello sviluppo di business e di un corretto focus sulla strategia di crescita. La quota delle imprese in utile è particolarmente rilevante (89%) e sostanzialmente stabile rispetto al 2016.
Il 60% degli utili prodotti dalle Top 100 sono stati reinvestiti in azienda. Questo spiega l’incremento di 1,6 miliardi di Euro (+5%) dell’aggregato dei patrimoni netti (31,6 miliardi di Euro al 31 dicembre 2017).
Naturale riflesso di simili dinamiche è rappresentato dal significativo aumento del rendimento del capitale proprio (ROE) salito, sul totale delle 100 aziende, dal 6,9% all’8%: nel dettaglio, questo indicatore aumenta per 55 realtà. In 30 il ROE è addirittura superiore al 10%, dimostrando la capacità di dare un ritorno adeguato agli azionisti rispetto al rischio d’impresa.
Analizzando i dati per area geografica, emerge che il Veneto è la regione dove hanno sede 71 delle Top 100, a seguire il Trentino con 16 e il Friuli Venezia Giulia con 13. Verona è la provincia del Veneto con il maggior numero di società rientranti nella classifica con 20 aziende, quindi Padova con 15 e Vicenza che ne ospita 14.
Il settore di operatività più significativo per fatturato è la grande distribuzione, che conta 13 società o gruppi con ricavi aggregati per circa 21,6 miliardi di Euro (in crescita del 7% rispetto al 2016) e una marginalità media del 6%, stabile rispetto all’anno precedente.
Sostanzialmente equivalenti per dimensione sono i settori dell’abbigliamento / calzaturiero ed il settore alimentare. Entrambi superano gli 8 miliardi di fatturato. Le 8 società dell’abbigliamento / calzaturiero hanno tutte sede in Veneto ed hanno una marginalità media di quasi il 10%. Le 10 realtà che operano nel settore alimentare, invece, registrano una crescita del 6,4% rispetto al 2016, con un EBITDA medio del 7,5%, in miglioramento rispetto all’anno precedente.
Altro distretto di rilievo è il siderurgico con 5,5 miliardi di fatturato generato da 6 gruppi che hanno tutti registrato una crescita a doppia cifra nei ricavi nel 2017 rispetto all’anno precedente (24% in media) e una marginalità del 8,4%, anch’essa in miglioramento.
Per garantire la crescita, un adeguato accesso alle fonti di finanziamento è chiaramente un elemento chiave. Sempre più spesso questo è garantito dai mercati dei capitali: tra le Top 100 del Nordest circa il 25% è rappresentato da gruppi quotati o da società appartenenti a gruppi quotati (circa la metà nelle prime trenta). Peraltro, il 2017 ha registrato il record di quotazioni in Italia, grazie alla convergenza di diversi fattori positivi, quali i PIR, multipli attraenti e benefici fiscali per i costi di quotazione.
Nonostante le incertezze registrate negli ultimi periodi, alcune recenti operazioni di IPO, confermano la convenienza e la strategicità di una simile scelta, così come l’ingresso di operatori finanziari che possano consentire di convogliare capitali adeguati per la crescita internazionale e per gli investimenti in innovazione.
Per accedere alle fonti alle migliori condizioni è poi necessaria una chiara ed efficace comunicazione finanziaria: raccontare quello che si è fatto con il linguaggio degli investitori, dando loro le informazioni che si attendono e facendo risaltare i pregi della propria azienda, senza nascondere le sfide che deve affrontare, ma raccontando come si siano raggiunti i risultati nel passato (la c.d. equity story).
I principi con cui i bilanci sono preparati rappresentano il linguaggio con cui le aziende si raccontano. Da tempo i principi contabili internazionali (IFRS) sono stati eletti quale strumento di comunicazione con la migliore qualità informativa. Essi consentono anche l’accesso ai mercati finanziari internazionali e una comunicazione comprensibile a tutti gli investitori, oltre che a potenziali partner commerciali. Tale assunto viene confermato dalle Top 100 del Nordest: 23 redigono il bilancio secondo gli IFRS, percentuale che aumenta al 44%, se ci si limita alle prime 25.
Nel complesso, il 2017 è stato un anno molto positivo per le grandi realtà del Nordest. Per il 2018 le nostre previsioni si mantengono positive sia in termini di crescita di business, che di ulteriore miglioramento dell’EBITDA, grazie soprattutto allo sviluppo internazionale ed all’occupazione di nicchie ad alto valore aggiunto. Le recenti turbolenze finanziarie che stanno investendo il nostro Paese e le Borse a livello mondiale potrebbero però influenzare il livello di nuovi investimenti, con successiva possibile riduzione del tasso di crescita nel medio periodo.
(Filippo Zagagnin, Partner, PwC, Luciana Sist, Director, PwC)
IL MAGAZINE

La prima della lista d’oro è Volkswagen Group Italia di Verona, l’ultima è la trevigiana Fassa. Nelle restanti posizioni della Top 100, tutte le altre maggiori aziende del Nordest, ordinate per fatturato, con i rispettivi risultati di bilancio relativi all’esercizio 2017.
Nelle cifre e negli indici appositamente calcolati sarà insomma raffigurata la punta di diamante del capitalismo in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Una potente motrice in grado di generare 97 miliardi di ricavi aggregati, in crescita del 9 per cento rispetto al 2016.
È questa l’estrema sintesi di Top 100 di Nordest Economia, il magazine di 172 pagine edito da Gedi News Network. Il magazine è in edicola con i nostri giornali dal 27 di novembre e ci resterà per un mese.
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