Titolo ai minimi, soci in manovra. Su Generali il vento di un'Opa

Lo scenario: Axa e Zurich, eterni concorrenti, studiano come stringere la presa sul mercato europeo. Intanto l'ad Donnet affronta uno scenario complesso. In agenda anche le funzioni delle Procuratie

Un fronte interno, uno esterno e pure uno con gli azionisti. Philippe Donnet e Alberto Minali, ossia il tandem composto dai neo amministratore delegato e direttore generale che visualizza il nuovo corso in Generali, hanno dinanzi una sfida davvero importante. La questione centrale, ovviamente, attiene alla capacità del Leone di aggredire mercati sempre più complessi e imprevedibili. E sarà da vedere in che misura Donnet e Minali vorranno rimodulare il piano strategico presentato appena qualche mese fa e che avevano condiviso con Mario Greco. Piano che prevede dividendi cumulati per oltre cinque miliardi entro la fine del 2018, oltre a investimenti per 1,25 miliardi. Piano assai ambizioso. «Ora affrontiamo una nuova sfida. Le Generali hanno una solida strategia che però ci troveremo ad implementare in uno scenario complesso e che sta diventando ancora più complesso», ha detto Philippe Donnet nei giorni scorsi, all’assemblea degli azionisti riuniti alla Stazione marittima di Trieste.

Azionisti in manovra.

In funzione di tali obiettivi verranno ridefiniti gli assetti di comando e, soprattutto, azionisti e mercati praticheranno la loro strategia. Tra i soci, spicca per intraprendenza il vicepresidente Francesco Gaetano Caltagirone, che negli ultimi mesi ha incrementato la propria posizione fino a superare la soglia del 3% e non facendo mistero alcuno di voler crescere ancora. Nulla di cui stupirsi se tra un anno lo trovassimo a quota 5%, dipenderà dai prezzi e dall'andamento del business. Ma è chiarissimo che – nella riscrittura e riordino del proprio libro partecipazioni – Caltagirone assegna all'investimento in Generali una posizione di assoluto rilievo (al pari del cemento, della partnership in Acea con i francesi di GdF Suez, dell’immobiliare). In pari tempo, nel corso dell’ultima annata, anche Leonardo Del Vecchio ha incrementato la propria quota, salendo dal 2 al 3% e dando un chiaro segnale di impegno a procedere con il rientro di un suo delegato in seno al board (Romolo Bardin, che tiene le chiavi della cassaforte di famiglia chiamata Delfin). Da vedere, invece, con quale passo Mediobanca attuerà la discesa dal 13 al 10% e se, in pari tempo, il fronte degli investitori italiani avrà un disegno di difesa della matrice nazionale. Se il valore del titolo continuasse a essere così pesantemente penalizzato, potrebbero prender corpo le voci di dossier relativi a un’Opa (secondo i rumors, i nomi dei potenziali aggressori sono sempre i soliti, ossia Axa e Zurich).

Nomine in arrivo.

Intanto l'ex rugbista Donnet sta ragionando su come disporre in campo la squadra. Il suo entourage lo ha soprannominato “Zen”, perché non è tipo da decisioni affrettate. Ha iniziato un paio di settimane fa lasciando la presidenza di Genagricola al veneziano Giancarlo Fancel, Cfo di Generali Italia. I due condividono la competenza e la passione in tema di vini, il portogruarese Fancel in particolare è un raffinato sommelier. E difatti assieme hanno visitato le tenute di Genagricola in Piemonte, Emilia, Lazio e soprattutto quelle predilette di Torre Rosazza (sul Collio goriziano) e a Ca’ Corniani (nei pressi di Caorle). E ne hanno rilanciato il business puntando sulla qualità, con l'assistenza dell'amministratore delegato Alessandro Marchionne. Da capo di Generali Italia, Donnet nell’ultimo triennio ha messo assieme un team affiatato. Ne fanno parte Stefano Gentili, Davide Passero, Manlio Lostuzzi, Massimo Monacelli, Andrea Mencattini, Mauro Montagnini, Marco Sesana. Sarà appunto Sesana, ex McKinsey come Greco, attuale responsabile Insurance & Operations, a prendere l'ufficio più importante nell’head quarter di Mogliano Veneto, dove lavorano circa 2.500 dipendenti. Sesana farà l’amministratore delegato, ma con ogni probabilità Donnet manterrà i panni di country manager. Vale a dire che dovrebbe mantenere la supervisione sugli altri rami coltivati in Italia, ossia Alleanza (data alla cura di Passero), Genertel (Lostuzzi), Banca Generali (di recente affidata alla guida di Gian Maria Mossa con i gradi di direttore generale, mentre Paolo Vagnone potrebbe lasciare la presidenza). Da capire pure quali effetti vi saranno della riorganizzazione logistica a Milano, con l’accentramento di tutti gli uffici nella nuova torre grattacielo in via di costruzione nell'area ex Fiera.

Il futuro di Trieste e Venezia.

Trieste rimane sede del quartier generale della holding, nonché delle Direzioni di Genertel e Banca generali. Donnet ama Trieste, e forse anche di più Venezia: ci ha preso la sua residenza in Italia, a palazzo Morosini, e ha tenuto numerose riunioni alle Procuratie Vecchie. A proposito: toccherà a lui rivelare i programmi della compagnia del Leone rispetto alle funzioni cui destinare le Procuratie. Di sicuro una parte avrà destinazione museale e per attività culturali prodotte e promosse da Generali. Del resto, la Imperial Regia Privilegiata Compagnia di Assicurazioni Generali Austro-Italiche è stata fondata nella città di Trieste il 26 dicembre 1831e il suo simbolo da principio fu pertanto l'aquila asburgica; ma pochi mesi dopo ha aperto la propria sede per l’Italia alle Procuratie Vecchie adottando come marchio il Leone di San Marco.

I costi da tagliare.

In tema di staff, di sedi, di logistica, Donnet e Minali devono valutare un tema posto da vari azionisti: negli anni di Greco, i costi delle strutture centrali sono raddoppiati, arrivando a circa mezzo miliardo. Costi da asciugare. Anche il peso delle rivalutazioni automatiche dei compensi per il personale, che aumentano del 2,5% all'anno, agendo su un monte di 5 miliardi su base mondiale, è materia di analisi. Ma in effetti la questione clou attiene alle strategie e alla praticabilità del piano industriale stand alone concepito da Greco con il suo staff (di cui Donnet e Minali erano parte essenziale). La compagnia ha bandiere piantate in oltre 60 Paesi, però l’Italia conta da sola per un terzo dei ricavi, seguono Germania (17% per il Vita e 27% per i Danni) e Francia (rispettivamente 17% e 12%). Vale a dire che tutto il resto del mondo apporta assai poco. E ancora più importante è l'indicatore riguardante il risultato operativo, dove l’Italia da sola pesa all'incirca il metà del totale. Non sarebbe del resto nemmeno la prima volta che ai piani alti, e tra gli azionisti, emerge una domanda essenziale: nella ricerca della massima redditività e efficienza, sarebbe opportuno risagomare il perimetro internazionale del Gruppo e delle connesse strutture centrali, concentrando le risorse sullo sviluppo di pochi mirati mercati?

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