Smart working ancora per tutti, ma dal primo agosto cambiano le regole: ecco come

Otto milioni di italiani continueranno a lavorare da remoto fino al 31 luglio, ma da agosto il telelavoro non sarà più un dovere né un diritto: lo disciplinerà un contratto integrativo fra lavoratore e datore di lavoro. La nostra guida spiega chi ha i requisiti e quali sono le condizioni
Novara - smart working - coronavirus - foto Paolo Migliavacca/Ciost..(smtpsrvsdp).Immagine _PM_5725 da UBEBOC host smtpsrvsdp @autore UBEBOC
Novara - smart working - coronavirus - foto Paolo Migliavacca/Ciost..(smtpsrvsdp).Immagine _PM_5725 da UBEBOC host smtpsrvsdp @autore UBEBOC
PADOVA. Esperienza da dimenticare per alcuni, grande svolta per altri, lo smart working che circa 8 milioni di italiani hanno sperimentato durante l’emergenza Covid (il numero è una stima dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano) sta per uscire di scena nella veste normativa che abbiamo imparato a conoscere per l’allarme coronavirus.
 
Dal 1° agosto, salvo cambiamenti di scenario a livello di nuove regole emergenziali e a meno di ulteriori chiarimenti normativi (che peraltro sono sollecitati da varie parti e che potrebbero anche arrivare sulla scia del piano Colao e degli Stati generali voluti dal premier Conte), lavorare da casa non sarà più un dovere né un diritto, nemmeno per chi ha figli minori di 14 anni. Si tratterà di una possibilità, che si potrà ottenere firmando un contratto integrativo con il proprio datore di lavoro.
 
L’adattamento alla situazione
 
In questi mesi abbiamo conosciuto una versione di emergenza dello smart working, che è stato assimilato (in deroga) al lavoro da casa e che il 1° agosto tornerà a essere ciò che era formalmente all’origine, nella legge che tre anni fa l’ha istituito, vale a dire un lavoro «caratterizzato dall’assenza di vincoli di orario o di spazio» e con un’organizzazione per obiettivi, «stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro». Caratteristica dello smart working è la libertà del dipendente di scegliere il luogo in cui lavorare, di giorno in giorno, senza doverlo comunicare all’azienda.
 
«Se l’azienda, per motivi organizzativi, vuole specificare un particolare luogo, ad esempio la casa del dipendente, dovrà indicarlo nel contratto», dice Paolo Puppo, consigliere nazionale dell’ordine dei Consulenti del lavoro.
 
«Si può lavorare in sede o a distanza, a casa, nel parco o in riva al mare. Non conta il luogo, conta il raggiungimento dell’obiettivo», riassume Mariano Corso, responsabile dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano. La valutazione degli obiettivi richiede indicatori il più possibile trasparenti, per misurare in modo oggettivo il rendimento dei lavoratori. Indicatori che possono essere disciplinati nell’accordo integrativo, oppure, come spiega Puppo, «in un regolamento aziendale o, per le aziende in cui è presente il sindacato, in un accordo aziendale collettivo». 
 
 
I paletti normativi
 
La libertà è anche nell’orario. «Pur di raggiungere gli obiettivi prefissati, lo smart worker può decidere di lavorare quando vuole», dice Corso. «In base al principio di parità di trattamento, lo smart worker ha diritto a percepire un trattamento economico e normativo non inferiore ai lavoratori in sede», dice Puppo. «Ha diritto al pagamento dello straordinario. Non è raro che gli accordi individuali precisino, in una clausola, che la prestazione al di fuori della sede di lavoro deve essere contenuta entro il numero massimo di ore previste dal contratto». 
 
Molte delle aziende e pubbliche amministrazioni che si sono trovate, in questi mesi, a dovere organizzare e gestire il lavoro da casa, hanno bypassato i percorsi di progettazione, formazione, monitoraggio, che dovrebbero accompagnare l’avvio dello smart working. «Lo smart working deve essere preceduto dalla formazione del personale, che dev’essere messo in grado di poter lavorare in autonomia», dice Corso.
 
«L’azienda è tenuta anche a fornire al lavoratore gli strumenti adeguati per lavorare, oppure può ricorrere alla modalità “bring your own device”, usa i tuoi strumenti, modalità che in questi mesi è stata maggioritaria». 
 
 
La logistica
 
Accanto alla formazione, l’azienda è tenuta a fornire ai lavoratori un supporto tecnico a distanza, costante, per aiutarli a superare eventuali ostacoli nell’uso degli strumenti informatici o nell’accesso alla rete aziendale. L’azienda può decidere di pagare un contributo per le spese di internet o luce che sono a carico del dipendente. Diverse di loro hanno smesso di erogare i buoni pasto ai dipendenti in smart working poiché lavorano da casa.
 
Lo smart working in realtà non è tecnicamente il “lavorare da casa”, è libertà di scegliere il luogo di lavoro. Per la legge fiscale, poi, «il luogo di lavoro, ai fini della non imponibilità del ticket, è irrilevante», dice Puppo. Più incerti i rimborsi forfettari per le trasferte: se sono legati allo spostamento casa-ufficio, vengono meno. 
Un aspetto delicato della formazione riguarda la protezione dei dati. «L’azienda dovrebbe fornire al lavoratore strumenti per accedere alla rete aziendale in sicurezza, o altri software che separano, sul pc o altro supporto informatico, la componente di lavoro da quella privata», dice Corso. 
 
A proposito di vita privata, un punto fondamentale è il diritto alla disconnessione, che è il diritto, nel periodo di riposo, a non usare gli strumenti tecnologici usati per il lavoro, e che deve essere regolamentato nell’accordo. «Lo smart working - conclude Corso - è un modo di lavorare che non guarda solo all’orario o al cartellino, ma agli obiettivi, e che non deve tradursi in una schiavitù ma, al contrario, deve avere effetti positivi sia sull’attività svolta, sia sulla vita personale».

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