Porti, l'ex presidente Boniciolli: "Trieste e Venezia collaborino". Il Mose? "Un danno"

L'offshore a Venezia? «Costruire un'isola artificiale è assurdo per la mole di investimenti e per la manutenzione che richiederebbe nel collegarla alla terraferma, con ovvio intasamento della laguna» spiega l'ex presidente dei Porti

PADOVA. Classe 1936, origini dalmate, una matrice politica socialista - fu consigliere comunale Psi a Trieste - e un glorioso passato sportivo: in bacheca c'è il titolo di campione italiano Juniores di Pallacanestro. Claudio Boniciolli vanta quasi 50 anni di curriculum legati al settore portuale, di cui otto (dal 1996 al 2004) maturati alla guida dell'Authority di Venezia e quattro (dal 2006 al 2010) all'autorità portuale di Trieste.
Il suo ingresso nella portualità data 1959, quando entra al Lloyd triestino. Nel 1981 Boniciolli lascia Trieste per la Laguna di Venezia e diventa amministratore delegato di Adriatica Navigazione. Un incarico preludio agli otto anni di presidenza del Porto di Venezia.
«La portualità italiana può competere solo facendo sistema» ha sempre affermato, prima ancora che la crisi facesse calare i volumi di traffico. Venezia e Trieste, per Boniciolli, non sono mai stati porti concorrenti ma i perfetti candidati per sperimentare sinergie: Trieste ha i fondali profondi ma è battuta dalla bora, Venezia è il crocevia verso Ovest ma lotta con la nebbia. Questa liaison non è mai nata e oggi Boniciolli assiste, da osservatore ormai più distaccato, alle nuove schermaglie tra i due scali. Fermamente convinto che il progetto dell'offshore in Laguna, così tanto voluto dall'ormai ex presidente Paolo Costa, sia inutile e finanziariamente non sostenibile. E che il Mose porterà seri problemi al Porto, senza tutelare la città più bella del mondo.
Dottor Boniciolli, conosce il nuovo presidente designato del Porto veneziano Pino Musolino? Il sindaco Brugnaro ha già dato il suo giudizio e dice che il nuovo e giovane manager sosterrà le ragioni del porto di Trieste...
«Ho conosciuto, indirettamente, Pino Musolino quando ero a Venezia. Il mio segretario generale lo aveva aiutato a compilare la sua tesi di laurea. Ricordo che mi raccontava di questo giovane studioso di diritto marittimo. Mi pare che abbia le credenziali giuste per operare bene. Il mio augurio è di buona fortuna e che cominci presto: c'è molto da fare».
Molte le eredità lasciate dal presidente uscente Paolo Costa, prima tra tutte il Porto offshore. Secondo lei, il progetto è plausibile dal punto di vista logistico e finanziario?
«Secondo me l'opera è superflua e inutile e, dato che richiederebbe ingenti investimenti, può essere anche dannosa non solo per il Porto ma per il Triveneto e l'Italia. A Venezia se ne parla da tempo ma chi apre bocca sono i pochi favorevoli, mentre il gran numero dei non favorevoli tace per fondati timori. Il progetto e la sua enormità sono fuori da ogni tipo di logica e regola, anche perché si sta contraendo il mondo dei container e le previsioni fatte da Costa di uno sviluppo infinito si stanno rivelando non fondate. La realtà le sta smentendo».
Quindi l'offshore non va fatto?
«Costruire un'isola artificiale è assurdo per la mole di investimenti e per la manutenzione, ordinaria e straordinaria, che richiederebbe nel collegarla alla terraferma, con ovvio intasamento della laguna».
Qual è, dunque, il futuro del Porto di Venezia? Come può Venezia crescere in un sempre più competitivo contesto globale di traffici che, lei conferma, sono in calo?
«Bisogna sfruttare la posizione formidabile e le caratteristiche naturali del porto di Venezia tra la pianura padana e la costa dell'Adriatico. La necessità, non solo di Venezia, è oggi quella di aumentare e perfezionare i collegamenti ferroviari con il retroterra verso la Svizzera e la Francia e quei bacini che possono gravitare sulla pianura padana e, in parte, su Genova e La Spezia».
E Trieste?
«Trieste ha un altro retroterra di sapore asburgico e guarda al centro Europa; c'è una linea non scritta di demarcazione tra Venezia e Trieste e i loro mercati di riferimento. Venezia ne ha uno, Trieste un altro, poi ci possono essere intese e collaborazioni».
Su quale asset può giocare la "sua" partita mondiale il porto di Venezia?
«L'appeal di ogni porto è rappresentato dai servizi che esso esprime e c'è una lunga e grande tradizione di efficienza nel lavoro portuale veneziano, per merito delle compagnie e dei lavoratori; ma c'è la necessità di migliorare i collegamenti con il fronte mare: strade, autostrade, ferrovie e anche aerei su cui viaggiano traffici di nicchia molto interessanti. È fondamentale oggi, anche l'apporto dei servizi informativi. E qui bisogna lavorare intensamente».
Il sistema Mose, e in particolare la conca di navigazione oltre alle paratoie, inibirà a suo avviso l'attività portuale?
«Io dico di sì, l'ho sempre detto e sostenuto, ma hanno deciso di farlo comunque: i tempi si sono allungati, i costi dilatati e le paratoie non sono ancora in posizione e quest'anno la marea è salita tre volte. Non è sufficiente a tutelare Venezia. Il Mose assorbirà un numero sterminato di miliardi in manutenzione con benefici tutti da vedere, e che il porto ne risenta è assolutamente certo perché i fondali per l'accesso anche alla Marittima si sono alzati in rapporto all'installazione delle paratoie. E proprio per ovviare a questo, che si è pensato all'isola offshore che è un'assurdità».
E il grande problema dell'inquinamento? I porti più avanzati privilegiano navi che, all'ingresso in area portuale, usano il secondo motore alimentato a gas, tanto è vero che le navi da crociera di nuova generazione vengono dotate di doppio motore. Potrebbe essere percorribile anche a Venezia?
«Molto relativamente: il problema resta l'accesso del tonnellaggio delle navi; è quindi oggi inutile ragionare sul secondo motore, prima vanno ridotte le dimensioni. Mi spiego meglio: vanno difesi i volumi di traffico per i porta-container e anche le dimensioni del turismo ma con l'uso di navi che approdino senza sovvertire la Laguna. Bisogna, quindi, dragare costantemente i canali per farvi accedere le navi ma ridurne la dimensione. Venezia non deve per forza rincorrere i giganti ma potenziare l'organizzazione: servizi e infrastrutture».
Quindi, lei dice «no» alle grandi navi in Marittima?
«Devono arrivare navi più piccole, il gigantismo comporta costruzioni sempre più costose in funzione della dimensioni delle navi, sia che esse trasportino persone quindi da crociera, sia merci. Ma Venezia è città unica al mondo e non ha senso tutto questo».
Ma quanto piccole? Quando c'era lei al Porto di Venezia che decisioni aveva preso?
«Si tratta di stabilire dei limiti e i miei limiti, al tempo, erano di 100 mila tonnellate che forse vanno ridotte. Posso aver sbagliato anche io. Ci sono segmenti più piccoli di navi, con un alto livello ospitalità, che sarebbero adattissime ad arrivare in Marittima o a Marghera. Avevano imboccato la strada giusta, serve ridurre la dimensione delle navi».
Trieste e Venezia, continua la sfida tra i due scali sul traffico merci e container. Il 2015 per la prima volta ha segnato il sorpasso di Trieste sul traffico merci movimentate, mentre sui passeggeri lo scarto è ancora importante e a favore di Venezia. È arrivato il momento di abbandonare una volta per tutte gli interessi locali per affrontare uniti, senza conflittualità, la sfida globale, ovvero conquistare nuovi traffici?
«Una volta sorpassa una, l'anno dopo tocca all'altra. Non importa. La guerra tra i porti è alimentata da politiche dalla veduta corta: non si è in grado, qui a Nordest, di stabilire delle linee comuni di sviluppo per collegare i naturali retroterra dei porti. Bisogna poi lavorare per ridurre la burocrazia e alimentare i servizi tornando alla logica del vecchio Arsenale che per Venezia e non solo è stata la fabbrica, quella più grande d'Europa».
Quindi l'augurio è che Musolino per Venezia e Zeno D'Agostino per Trieste, trovino un dialogo e una strategia comune?
«Auguro a entrambi buon lavoro e la migliore fortuna, bisogna fare molto bene soprattutto a Venezia tra lo scavo dei canali e l'ottimizzazione delle banchine. Si punti sui collegamenti ferroviari e anche sulla liason con Trieste perché bisogna aiutarsi l'un l'altro, specie in caso di meteo avverso perché se una nave, per la nebbia o per la bora, non arriva a un porto potrebbe attraccare nell'altro. Ma non dobbiamo rincorrere i grandi porti mondiali perché, come dimensione e struttura, siamo destinati a perdere la partita. E la perdiamo anche perché non abbiamo capitali disponibili, né li troveremmo da stranieri disposti a investire qui. Quindi: dobbiamo puntare sull'efficientamento delle strutture portuali e le parole d'ordine sono due: tecnologie e infrastrutture».
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