Piazza Affari decolla e cerca di diventare amica delle imprese

Il 2017 è stato un anno più che buono per il mercato dell’equity italiano, complice la ripresa dell’economia reale, la bassa volatilità e tassi in crescita lieve. Anche l’aspettativa per il 2018 resta positiva. «Gli investitori esteri, soprattutto americani, sono tornati a investire nel nostro Paese - spiega Francesco Spila, deputy head of equity capital market Mediobanca - e la nuova normativa sui Piani individuali di risparmio (Pir), che lo stesso governo italiano aveva sottostimato ipotizzando un miliardo di raccolta annua, sta viaggiando verso i dieci miliardi». La previsione, per l’esperto di Mediobanca, è che si arrivi a 50 miliardi nei prossimi 5 anni.
«I fondi, che raccolgono i soldi con i Pir, devono investirli per almeno il 70% in aziende, quotate o non quotate, con sede in Italia e almeno il 30% (di questo 70%) in Pmi non quotate sul Ftse Mib - specifica Spila - questi 10 miliardi, quindi, sono stati principalmente investiti nel mercato italiano dell’equity che è salito notevolmente». Da gennaio 2017 al 15 dicembre il Ftse Mib segna +15%: la massa di denari ha alzato titoli e valutazioni.
A gonfie vele
Il sistema sta andando così bene che molte aziende cercano di quotarsi. Il segnale arriva dalle Spac (Special purpose acquisition company) che sono in aumento. Si tratta di veicoli di investimento creati apposta per raccogliere capitale per operazioni di fusione o acquisizione di aziende. «Ci sono 20 Spac quotate di cui 11 devono ancora fare la business combination (l’aggregazione aziendale, ndr) - continua Spila -: calcoliamo 1,1 miliardi da destinare a imprese che si devono quotare e 650 milioni in raccolta per future Ipo. In tutto, ci sono quasi 1,8 miliardi ancora da investire nel mercato».
Se la volontà di Borsa dimostrata in questo 2017, si confermerà anche il prossimo anno, «la pipeline (ovvero il processo di emissione, sottoscrizione e collocamento di nuovi titoli, ndr)» delle Ipo per il 2018 potrebbe ragionevolmente contarne almeno altre 15 nel solo mercato regolamentato» chiarisce Spila. Nel 2017 il Nordest ha visto due quotazioni su 35: DoBank per il mercato Mta (345,3 milioni di raccolta in Ipo) e Sit per Aim Italia (quotazione con la Spac Industrial Starts of Italy 2). Ma nel programma Elite ci sono 72 società nordestine: 57 venete, 11 del Fvg e 4 del Trentino-AA. E il 2018 vede ai nastri di partenza due società trevigiane: Dba Group e Somec, entrambe per l’Aim.
Cambiamento culturale
«La quotazione non è solo un’opportunità per raccogliere capitali, può risultare utile all’azienda stessa per darsi regole di governance solide e trasparenti, nonché per migliorare le relazioni e il posizionamento con clienti e fornitori e conquistare nuovi mercati. Il 2017 è un anno molto positivo che ha visto finora il debutto di più di 35 aziende sul mercato - spiega Luca Tavano relationship manager Primary Markets di Borsa Italiana -. Sempre più imprese stanno attuando il cambiamento culturale necessario per cogliere queste opportunità». «Lo scenario è cambiato - conferma Luigi Belluzzo, global managing partner di Belluzzo&Partners - negli ultimi dieci anni la finanza, che prima era poco capita, è divenuta una delle leve del fare impresa. La Borsa è un’opportunità, non la sola, per risolvere a geometria variabile il problema dell’approvvigionamento finanziario e anche del controllo: se ci si attrezza per bene e la famiglia è, diciamo, evoluta, la quotazione di alcuni pezzi del patrimonio può essere una possibilità per mantenere il controllo, evitando l’ingresso di un socio. O può servire per liquidare parti della famiglia che vogliono uscire dal business. Ci si può quotare anche per migliorare la propria reputazione commerciale».
Attirare gli investitori
«Il fattore determinante per le aziende che oggi si affacciano sul mercato resta la value proposition che può essere legata a ricerca e sviluppo, all’unicità del business, alla nicchia di prodotto» aggiunge Spila di Mediobanca. Al di là della dimensione e dell’ottima marginalità, l’appeal per l’investitore resta, in ogni caso, o la crescita dell’azienda o la sua cassa, necessaria per distribuire dividendi. La combinazione delle due è l’optimum.
Nanismo italiano
«Purtroppo, il mercato italiano soffre di nanismo legato alla dimensione dell’impresa nostrana» fa notare Spila. L’altro limite è la scarsa liquidità delle quotate, per colpa di flottanti risicati. «Le vere public company, tolte le ex statali e il macro-mondo finanziario (banche e assicurazioni) oggi sono solo due: Prysmian e Cerved - conferma l’esperto di Mediobanca -. Potrebbe diventarlo Ovs, in prospettiva, vista la presenza di un private equity nel capitale che potrebbe in un futuro disinvestire. L’imprenditore italiano ha da sempre paura a cedere il controllo ma con la nuova normativa che permette il voto maggiorato questa situazione potrebbe migliorare».
Il portafoglio ci guadagna
Ma conviene investire a Nordest? Salvatore Gaziano, direttore Investimenti di SoldiExpert, ha formato un ipotetico portafoglio osservando l’andamento, dal 1 gennaio al 30 novembre, delle quotate del Nordest sul Listino principale. Risultato: «Investire in questi titoli si sarebbe rivelato un ottimo affare nel 2017 considerato che un paniere equipesato delle 24 azioni principali che si scambiano a Piazza Affari, al 10 dicembre, 2017 avrebbe realizzato un guadagno del +38% contro una crescita dell’indice Ftse Mib inferiore di oltre la metà (+16%) da inizio anno» spiega Gaziano.
«Un passo doppio rispetto a quello di Piazza Affari e spiegabile in buona parte con il tessuto vivace dal punto di vista imprenditoriale che caratterizza il Nordest e con la numerosa presenza di medium e small cap (ovvero società di media e bassa capitalizzazione borsistica, ndr) che hanno costituito nel 2017 il segmento più premiato dagli acquisti complice anche l’effetto doping originato dal lancio dei Pir: il Bengodi per banche e società del risparmio gestito nella raccolta» aggiunge il consulente.
La riscossa del Nordest
Il Nordest ha segnato nel 2017 una forte riscossa per merito soprattutto delle performance di alcune società che hanno messo letteralmente il turbo nell’anno come in particolare Carraro (+218,7%), Fincantieri (178%), Cattolica Assicurazioni (+69%), Zignago Vetro (+50,8%), Beni Stabili (+47%), Banca Ifis (+50%), Nice (+40,9%). «Nel caso di Carraro - spiega Gaziano - i mercati di riferimento (agricoltura e movimento terra) sono tornati a crescere e la redditività della società padovana ha avuto un forte balzo dopo anni di tribolazioni. Per Fincantieri il 2017 è stato l’anno della definitiva riscossa internazionale con un portafoglio ordini ai massimi di tutti i tempi e con l’accordo travagliato ma strategico con i francesi di Stx che le consente di diventare il punto di riferimento mondiale del settore e avere ambizioni significative anche nel settore militare». «Banca Ifis - continua Gaziano - ha continuato anche nel 2017 a dimostrarsi una delle banche più innovative del panorama tricolore specie grazie alla divisione Npl che è la specialità, anche, della matricola veronese Dobank, sbarcata a Piazza Affari con grande successo quest’estate».
Lepri e tartarughe
Ma se queste sono le lepri del Nordest fra i titoli peggiori ci sono: Safilo, azienda che ha perso significativi accordi di licenza (come Gucci) e quindi fatturato (-15% nei primi 9 mesi del 2017) e redditività (-44%). Anche Luxottica è rimasta al palo per effetto dell’iter della fusione con la francese Essilor che si sta dimostrando laboriosa per gli ok dell’Antitrust. «Anche Eurotech ha raffreddato gli entusiasmi» conferma Gaziano che nota come «da cinque anni il titolo Generali sia rimasto quasi al palo in confronto all’indice del settore che è invece raddoppiato».
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