Patuanelli: «L’agroalimentare traina il Pil sul tavolo otto miliardi per attrarre i giovani»

Il ministro punta su Next Generation Eu e sul Pnrr per far cambiare pelle a un settore «sottovalutato» ma che è «il vero motore dell’export»

Maura Delle Case

Il settore agroalimentare è uno dei motori del Paese e come tale, oggi più che mai al centro dell’agenda del governo. Destinatario di un tesoretto senza precedenti, pari a 8 miliardi. Come verranno spese queste risorse, con quali progetti e visioni, ce lo racconta il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli, determinato a riportare i giovani tra le braccia della terra, ad accelerare l’innovazione dei processi produttivi e a difendere l’agroalimentare tricolore. A partire dal Prosecco.

Ministro, dopo decenni di abbandono e declino, l’agricoltura italiana può avere un autentico rilancio?

«Spesso l’agricoltura viene sottovalutata e si dimentica che traina il Pil dell’Italia da decenni e che oggi rappresenta il vero motore delle esportazioni con oltre 50 miliardi nel 2021. Tutto l’agroalimentare italiano ha fatto molto in questi anni in termini di produzione, innovazione e sostenibilità. Oggi la grande sfida dell’agricoltura è quella di produrre di più e meglio, preservando le risorse naturali e garantendo un’equa distribuzione del valore lungo la filiera. L’innovazione è il grande elemento che può consentire all’agricoltura di produrre cibo rispettando l’ambiente, e fare il giusto cammino verso l’Agricoltura 5.0. Il Pnrr e le nuove strategie europee legate al Green Deal sono occasioni imperdibili per rilanciare il settore, ma ciò avverrà solo se guarderemo alla transizione ecologica come un’opportunità di filiera in grado di coniugare sostenibilità e competitività».

E può costituire un approdo lavorativo in misura significativa?

«Il settore agroalimentare per raggiungere gli obiettivi che ci siamo proposti ha bisogno di nuove professionalità e alta formazione. Nel settore in Italia solo l’8% degli imprenditori agricoli ha meno di 40 anni. Dobbiamo fare di più per attrarre i giovani e questo può essere possibile solo se riusciremo a garantire loro un giusto reddito. I giovani sono al centro del più grande programma europeo post Covid, il Next Generation Eu. Il Mipaaf ha attivato già da anni una serie di progetti dedicati, come i bandi Ismea per le Terre agricole. Nella legge di Bilancio abbiamo prorogato la decontribuzione per gli imprenditori e agricoltori diretti under 40. Molti dei progetti del Pnnr troveranno nell’imprenditoria giovanile lo sbocco naturale».

Quali sono le priorità del governo e relativi fondi sul versante agricolo?

«Il sostegno al reddito e gli investimenti nelle filiere rappresentano le priorità per proteggere il made in Italy e promuovere la competitività e la distintività dei prodotti agroalimentari. Le risorse in arrivo dovranno incentivare in modo mirato e strategico l’innovazione del settore, puntando sulla transizione dei processi produttivi. Nella Manovra abbiamo destinato oltre 2 miliardi di euro al settore agroalimentare, 5,98 miliardi arriveranno con il Pnnr. Cifre importanti che dimostrano come l’agroalimentare sia al centro dell’agenda del Governo. Non dobbiamo accontentarci di tornare allo stato pre Covid, ma dobbiamo colmare quei gap di competitività e di produttività che avevamo con gli altri Paesi».

Come saranno impiegate le risorse del Pnrr?

«I 5,98 miliardi stanziati per l’Agricoltura saranno indirizzati su progettualità specifiche legate ai sistemi irrigui, ai contratti di filiera, alla meccanizzazione, alla logistica e alla produzione di energia da fonte solare, oltre alle risorse stanziate per gli impianti di biogas e biometano, per l’economia circolare e per l’innovazione. Progetti fondamentali per traghettare l’agroalimentare verso un futuro in cui sostenibilità, produttività e innovazione camminano di pari passo».

Stare dentro alle regole europee talora appare come un vincolo o una zavorra considerato che l’Ue tende allo standard e che invece l’Italia è varietà, fantasia, storie differenti e sfumature…

«L’accordo sulla nuova Pac è stato raggiunto dopo tre lunghi anni ed è frutto della sintesi di tutte le diverse realtà europee. Siamo riusciti a salvaguardarne la dimensione comune, evitando distorsioni di concorrenza tra agricoltori di differenti Stati membri. Ora siamo al lavoro sui Piani Strategici. Le scelte che stiamo prendendo sono ben meditate e frutto di una delicata concertazione con le Regioni e con il Tavolo di Partenariato. Il nostro obiettivo è quello di trovare un equilibrio per la distribuzione più equa possibile delle risorse e aiutare le aziende ad intraprendere il cammino verso la transizione ecologica e la sostenibilità sociale».

Avverte il rischio che i gioielli dell’agroalimentare italiano possano essere ulteriormente calamitati da grandi gruppi stranieri. Come Parmalat, ad esempio. E quali politiche il governo è in grado di attuare?

«Occorre fare una distinzione tra un’operazione di libero mercato e una delocalizzazione che invece mette a rischio la tutela delle denominazioni dalle imitazioni, i posti di lavoro e minaccia la produzione italiana. Bisogna ricordare che i marchi Dop non sono delocalizzabili anche se l’azienda che li produce è di proprietà estera, in quanto la loro produzione è regolata da un disciplinare riconosciuto a livello Ue. Per evitare che le aziende italiane si disperdano, dobbiamo dare maggiore forza aggregativa al nostro sistema attorno a progetti a lungo termine, valorizzare i marchi nostrani e accrescere la competitività sui mercati esteri».

Come finirà la contesa sul Prosecco? Si sente di scommettere sul buon esito per l’Italia?

«Le motivazioni che abbiamo inviato i primi di novembre alla Commissione europea per opporci alla denominazione tradizionale Prošek sono ben solide e non abbiamo motivo di pensare che le nostre tesi non vengano accolte. Se la Commissione dovesse accettare la richiesta della Croazia di registrare la denominazione Prošek, l’Italia farà ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Non possiamo permettere una istituzionalizzazione dell’italian sounding».

Innovazione e digitalizzazione sono sempre più centrali anche nel settore agricolo e agroalimentare. A che punto siamo con questa transizione? Agricoltura 5.0 è soltanto un titolo oppure si avvia a essere una realtà?

«L’agricoltura è forse il terreno più fertile per declinare la transizione ecologica e quella digitale che sono alla base del Pnrr. Siamo certi che ci siano tutte le condizioni affinché il settore partecipi alla rivoluzione in corso e si arrivi all’Agricoltura 5.0. Ricerca, sviluppo, digitalizzazione e innovazione delle infrastrutture devono diventare il presente e il domani del comparto primario». 

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