Pasini: «La Ue come gli Usa deve introdurre i dazi»

Il presidente del gruppo siderurgico bresciano Feralpi: «Condivido questa posizione con tanti colleghi industriali Prodotti con prezzi molto bassi anche dalla Turchia

Federico Piazza
Giuseppe Pasini
Giuseppe Pasini

La domanda langue, ma tiene l’edilizia in Italia grazie al Pnrr. Il governo deve agire subito per ridurre la bolletta elettrica. Mentre l’Unione Europea deve cambiare approccio per salvare il sistema manifatturiero, anche con i dazi. E la Germania malato d’Europa non può più dettare le regole.

È l’analisi di Giuseppe Pasini, presidente del gruppo siderurgico bresciano Feralpi e past president di Federacciai, che fa il punto sulle sfide della siderurgia.

Presidente, partiamo dalle costruzioni, in cui è specializzata Feralpi. Come va il mercato?

«L’Italia come volumi sta andando bene nel 2024 con il traino del Pnrr. Ma nei due anni rimanenti occorre accelerare sulle grandi infrastrutture di cui l’Italia ha bisogno, come l’Alta Velocità e il Valico del Brennero. Sono molti i cantieri ancora da avviare nel Paese».

La domanda di acciaio per edilizia nel resto d’Europa?

«Meno bene. La Germania in particolare è in grande difficoltà. Basti pensare che nel 2023 l’industria tedesca delle costruzioni è calata del 40%, l’obiettivo del piano di nuova edilizia del governo non è stato minimamente raggiunto».

Quali sono le prospettive per gli altri principali settori d’impiego?

«L’automotive non fa ben sperare. Il rallentamento è generalizzato, pure in Germania sono state annunciate possibili chiusure di stabilimenti. Quindi il mercato degli acciai speciali per i veicoli non è brillante. Il rallentamento tedesco pesa molto anche sulla componentistica metallica per le macchine industriali, un comparto in cui tantissime aziende venete e lombarde gravitano sulla Germania».

Che effetto può avere sulla siderurgia italiana ed europea l’eccesso di capacità produttiva mondiale?

«Le misure di salvaguardia Ue sulle importazioni vanno irrobustite. In particolare rispetto alla Cina, da dove arrivano prodotti a prezzi molto bassi. Ma anche dalla Turchia. In Europa dobbiamo fare come gli Usa, che proteggono il proprio mercato con i dazi. Condivido questa posizione con tanti colleghi industriali».

Protezionismo quindi?

«Il libero mercato poteva andare bene fino a qualche anno fa. Oggi la situazione è cambiata, e con la guerra in Ucraina è mutato anche il panorama europeo. Dobbiamo salvaguardare il sistema manifatturiero, cambiando rapidamente le regole e ponendo nuove restrizioni sull’import».

Ma nell’Ue le posizioni rimangono distanti, per esempio la Germania punta molto sul mercato cinese e teme la guerra commerciale con Pechino.

«Ogni Paese in Europa ragiona sul vestito che porta. Invece dobbiamo agire come Europa, altrimenti perderemo la guerra commerciale con Cina e Usa e tanti comparti industriali. Questo vale anche per la Germania, che non può più porre le condizioni agli altri, ha anch’essa bisogno dell’Europa. Forse più di altri».

Cosa pensa del piano Draghi per la competitività?

«È un monito all’Europa, ha messo il dito nella piaga. Draghi dice cose che molti imprenditori dicono da anni. Stiamo perdendo in competitività. Negli ultimi sette anni, per esempio, la produzione siderurgica europea è scesa da 170 a 130 milioni di tonnellate l’anno. Se continuiamo così, non perderemo solo l’acciaio ma anche una parte di automotive e macchinari. Diventeremo un’economia di servizi, ma se non c’è l’impresa industriale anche i servizi ne risentono negativamente».

Problema caro energia, cosa fare nel breve termine?

«Dobbiamo fare i compiti a casa in Italia. Abbiamo i costi più alti d’Europa. Per i settori energivori, come la siderurgia, pagare l’elettricità 120 euro a MWh è improponibile. Il governo deve rendersi conto che occorre equiparare la bolletta energetica a quella degli altri Paesi europei. Ci sono diversi strumenti per intervenire, l’importante è agire perché i tempi della transizione energetica con le rinnovabili o altre fonti sono lunghi e non si può aspettare».

Questione materie prime?

«Oltre all’elettricità, l’altra questione essenziale per l’acciaio è quella dei rottami ferrosi. Ogni anno venti milioni di tonnellate di questo materiale strategico per la decarbonizzazione del settore escono dall’Europa, soprattutto dai porti del Nord. Di cui il 60% va in Turchia. Bisogna fermare questo flusso».

Il futuro dell’acciaio green ?

«È un processo in divenire con target progressivi di decarbonizzazione da raggiungere con rinnovabili ed elettrificazione. Nei prossimi anni i clienti, come qualcuno sta già facendo, chiederanno acciaio con determinati parametri. Ci dobbiamo preparare».

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