«Nuova Bcc Veneta, così aiuteremo l’intera regione a fare squadra»
Il presidente Flavio Piva parla dopo il primo cda del colosso cooperativo: «Siamo l’unica banca in oltre 80 Comuni dove gli altri sono spariti»

«Tra poco arriveremo a 94 sportelli e con questa aggregazione continueremo ad essere un punto di riferimento per molti territori dove in questi anni sono invece spariti tutti. A livello nazionale sono ottocento i comuni dove siamo rimasti l’ultima presenza bancaria e in Veneto sono più di ottanta». Flavio Piva, neoeletto presidente della Bcc Veneta frutto della fusione tra i due istituti di credito cooperativo Patavina e Verona e Vicenza, elenca con orgoglio i numeri per rimarcare il filo rosso che lega la banca del gruppo Iccrea con i territori, in primis il Veneto dove la Bcc è seconda per numero di sportelli e dove il tema della desertificazione bancaria è particolarmente sentito. La Bcc abbraccerà 237 comuni a presidio delle province venete di Verona, Vicenza, Padova, Venezia, Treviso, Rovigo e le confinanti province di Trento e Mantova.
Avete scelto Padova come quartier generale. Perché?
«La Città del Santo storicamente è il baricentro amministrativo del Veneto. Pensiamo anche a quante realtà di valenza regionale hanno sede a Padova. In secondo luogo, come il nostro nome suggerisce, da Padova possiamo guardare al Veneto nel suo insieme. Infine Padova completa il disegno con Verona, crocevia d’Europa con una logistica importante, e la provincia di Vicenza, dove abbiamo un’imprenditoria con grande capacità di innovazione e una grande vocazione per l’export».
In Veneto il concetto di banca del territorio, inevitabilmente, riporta alla memoria il dissesto delle due popolari, Veneto Banca e Popolare Vicenza. Perché Bcc Veneta è un’altra cosa?
«Siamo diversi prima di tutto dal punto di vista tecnico. Una banca di credito cooperativo è certamente una banca del territorio, ma è obbligata dalla legge a reinvestire il 95% di quello che raccoglie nel territorio così da stringere rapporti sempre più forti. Ma non vorrei però che passasse l’idea che siamo samaritani che tengono in piedi realtà che sono strutturalmente in perdita. Sarebbe sbagliato prima di tutto per i soci della banca stessa».
Quali progetti avete allo studio per reinvestire al meglio gli utili?
«Stiamo lavorando alla creazione di una fondazione che abbia poi nel territorio presidi veri e propri. Proprio perché non dobbiamo distribuire dividendi, vogliamo che i nostri utili generino credito per alimentare anche iniziative di carattere sociale. Sarebbe un’iniziativa sul modello della Patavina che aveva dato vita a una mutua proprio con questo tipo di finalità. Un ente del terzo settore che diventa patrimonio della banca e che vorremmo replicare anche negli altri territori».
E la Bcc Veneta a chi si rivolge?
«Il nostro impegno ora è legato soprattutto alle piccole e medie imprese. Ma abbiamo maturato esperienze importanti anche con buona parte delle Top 100 aziende di ciascun territorio. Oggi siamo una banca in grado di fare tutto pur volendo restare una banca di relazione anche umana, non soltanto digitale, per i nostri clienti. Quando chiude una filiale, e lo abbiamo visto soprattutto in diverse aree con reti di collegamento un po’ meno sviluppate, il territorio si impoverisce nel suo insieme perdendo giovani, cultura, lavoro e competenze».
Il Veneto è una regione policentrica che storicamente fatica a fare sistema. Avete l’ambizione di essere un modello da seguire per il tessuto economico?
«Il nostro obiettivo è diventare, con garbo e massimo rispetto, anche un interlocutore istituzionale. Magari provando a convocare attorno a un tavolo l’economia veneta per fare insieme alcuni ragionamenti. Va detto che storicamente, come veneti, non abbiamo mai brillato riguardo la nostra capacità di fare squadra. Ma la nostra aggregazione vuole essere anche un segnale per una regione che ha un’economia estremamente importante e che resta una delle regioni europee più avanzate».
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