Vite e ortaggi in alta quota: l’economia di montagna si adatta al clima che cambia
In Carnia impianti di vitigni resistenti a 850 metri di altitudine, sperimentazioni in Alpago. Bortolas (Coldiretti Belluno): inverni meno freddi, oggi possiamo coltivare anche le angurie e i meloni

Inverni con nevicate sempre più rare. Ondate di calore estivo (come in questi giorni) che non sono solo più prerogativa della pianura o dei fondovalle, ma che ormai si fanno sentire anche ad altitudini elevate, sopra i mille metri.
Zero termico in quota che ogni anno infrange il record della stagione precedente.
Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti ed è particolarmente evidente in montagna.
Ma è proprio l’agricoltura montana che ha una capacità di adattamento fuori dal comune: nel Bellunese, per fare un esempio raccontato dalla presidente di Coldiretti Belluno Chiara Bortolas, oggi si possono coltivare pure meloni e angurie, cosa un tempo impensabile.
Molti ortaggi hanno cicli vegetativi più ampi e perfino la vite dà i suoi frutti anche a 800, 900 metri, come accade in Carnia, nella montagna del Friuli Venezia Giulia.
Il pioniere
Si chiama Roberto Baldovin ed è stato il primo imprenditore agricolo che ha scommesso sulla viticoltura d’alta quota. Nei suoi terreni - oggi 3 ettari in Comune di Forni di Sotto tra gli 800 e i 900 metri di altitudine, tutti esposti a sud, ma l’obiettivo è arrivare entro qualche anno a 8 ettari vitati - trovano dimora vitigni resistenti come Solaris e Sauvignon kretos, oltre a Pinot nero e Pinot bianco. L’azienda commercializza già oggi circa 10 mila bottiglie di vino con le due etichette “Cantina 837” e “Cantina Baldovin”. Vendite in Italia, ma soprattutto all’estero: Usa, Francia, Cina e Giappone. «Il nostro vino è richiesto, è un’attività che ci dà soddisfazione - dice l’imprenditore - , siamo stati i primi a crederci, fin dal 2015. Adesso ci sono altri che ci provano, in Carnia e nel Tarvisiano. La vendemmia? Tra fine settembre e inizio ottobre, come accadeva un tempo in pianura». Un altro imprenditore, Emanuele Billio, di origine veneta trapiantato in Friuli, ha deciso di partire con la vite, precisamente a Sutrio, dove in un ettaro di terreno produce vino spumante con l’antico metodo “sur lie”, ossia lavorando sui lieviti. Come Billio anche Lorenzo Maier di Paluzza alimenta il sogno di una Carnia dove si possa produrre vino di montagna.
Le altre colture
Frutti di bosco, lamponi, more, sambuco, fragole. Ortaggi ed erbe aromatiche per la produzione dei cosiddetti “Savors”. È il core business di Uberto Pecol di Raveo, paesino a 500 metri sul livello del mare, sempre nella montagna del Friuli. «Per quanto riguarda gli ortaggi il cambiamento climatico è favorevole - dice Pecol - . Mentre una volta si faceva un’unica coltivazione, adesso senza freddo intenso, si possono ruotare fagioli, o patate. Si coltivano verze, cappucci, radicchio rosso, cavolo nero, fino a pochi anni fa tutto ciò non accadeva. C’è la possibilità di fare un paio di raccolti e anche da punto di vista economico la cosa diventa interessante. A livello di coltivazioni ci sono spostamenti della maturazione, il sambuco, per esempio, fiorisce prima, a maggio, una decina di giorni in anticipo e noi dobbiamo adattarci. Alle nostre altitudini il cambiamento climatico dà già qualche segnale evidente: gli inverni sono meno nevosi e fa molto più caldo in estate».
Meloni e angurie nel bellunese
Impianti di vitigni resistenti in Alpago, a Mel e Fonzaso, a circa 500 metri. Per ora non si spingono oltre i viticoltori del Bellunese. «Ci segnalano anche il recupero di alcune varietà antiche, come la Bianchetta e la Pavana (bacca rossa) che si coltivavano nell’800 - racconta la presidente di Coldiretti Belluno Chiara Bortolas - . Ma la base dell’agricoltura di questa zona in realtà è la zootecnia da latte, mentre le orticole sono molto presenti in Valbelluna. Qua in montagna si coltiva anche il mais, viene utilizzato per la granella per i mangimi degli animali. Da Fonzaso fino a Ponte delle Alpi ci sono tante zone vocate per il mais, a cui si alterna l’orzo. Purtroppo per noi gli inverni sono meno freddi, la neve sta diventando quasi una rarità, è un guaio per le riserve di acqua, irrigare avrebbe costi altissimi. Oggi si coltivano anche da noi meloni e angurie, cosa che fino a poco tempo fa non erano nemmeno ipotizzabile. La semina di radicchio, cavoli, verze, deve essere ritardata, adesso c’è troppo caldo. Sperando che l’autunno sia normale e consenta di portare avanti senza intoppi le varie produzioni». —
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