Treu: «Posti fissi in recupero, ma tanti precari: resta alto il lavoro sommerso»

«L’Italia sconta il peso del lavoro sommerso e irregolare. Abbiamo un tasso di part-time involontario per coprire lavori full-time che rappresenta ormai un problema endemico. Serve una banca dati nazionale per il lavoro al posto di tante regionali che non comunicano fra loro». Dice il presidente del Cnel

 

Piercarlo Fiumanò
Tiziano Treu visto da Jatosti
Tiziano Treu visto da Jatosti

Ex ministro del Lavoro, attuale presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), Tiziano Treu analizza la manovra del governo che è stata valutata a fondo dal Cnel e i nodi sociali aperti nel Paese: dall’attuazione del Pnrr, al fisco, welfare e mercato del lavoro.

Professor Treu, quali sono i nodi strutturali del Paese impegnato nella corsa per centrare gli obiettivi chiesto dall’Europa?

«Non riusciamo a dare spinta allo sviluppo economico. Da quindici anni la produttività è insufficiente e non riusciamo a tornare competitivi. Invece bisogna destinare risorse maggiori alla formazione e alla innovazione non solo industriale ma in tutti i settori. Abbiamo tuttavia visto durante il governo Draghi che una formula per rilanciare la competività dell’Italia invece esiste. Infatti negli ultimi due anni la situazione è molto migliorata e con l’attuazione delle misure contenute nel Pnrr possiamo sperare di riattivare una crescita sostenibile e sostenuta».

Lei coordina il Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale che svolge una funzione consultiva sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. A che punto siamo?

«Il Pnrr sta entrando nella fase cruciale. La fase di preparazione del quadro normativo del piano corre su due binari: investimenti e riforme. Draghi è riuscito a tenere i tempi e a ottenere la seconda rata dei fondi per 21 miliardi. Entro la fine di dicembre dobbiamo raggiungere gli obiettivi concordati con Bruxelles anche per la terza rata».

Ora la palla va al governo Meloni.

«Dobbiamo farcela. Se non seguiamo il Piano, l'Ue non ci trasferirà le risorse di cui abbiamo bisogno. L'adempimento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è una questione quasi pregiudiziale perché dobbiamo rispettare le condizioni dell’Europa. Mi riferisco alle riforme della concorrenza e dell’amministrazione fiscale. Con l’inizio del prossimo anno inizia la parte più difficile perché dobbiamo far partire gli investimenti programmati nei trasporti, nelle fonti di energie rinnovabili, nelle opere pubbliche. E invece la nostra capacità di spesa è ancora debole.

Una sfida epocale, basti pensare alla riforma fiscale. Che ne pensa?

«Secondo un rapporto di Itinerari Previdenziali presentato giorni fa al Cnel su poco più di 41 milioni di contribuenti sono appena 5 milioni a caricarsi il peso di quasi il 60% dell’Irpef versata nelle casse dello Stato. Non è vero che siamo un popolo tartassato dal fisco perché paga sempre una minoranza. Nella manovra del governo c’è poco sul contrasto all’evasione fiscale. Misure come l’innalzamento del tetto massimo per pagare in contanti vanno in senso contrario come sostiene anche la Banca d’Italia. La diffusione della moneta elettronica è importante anche perché è utile per tante operazioni di tracciabilità per l'Agenzia dell'entrate».

Lei è stato il primo a introdurre la flessibilità nel mercato del lavoro italiano, nel 1996 con il governo di Romano Prodi. Uno dei vantaggi del mercato unico europeo è stato proprio quello di creare un mercato unico europeo del lavoro. Eppure si ha l’impressione che l’Italia non sia riuscita a sfruttare questo vantaggio. È d’accordo?

«L’Italia sconta il peso del lavoro sommerso. Negli ultimi due-tre anni, anche per l’effetto Draghi, l’occupazione però è cresciuta di 2-3 punti percentuali. Adesso col Pnrr si creeranno tante opportunità nella sanità e nel green, anche se non ci sono offerte adeguate di lavoratori preparati. Stiamo lentamente recuperando soprattutto nei contratti a tempo indeterminato».

Il tasso di lavoro precario resta elevato.

«L’Italia sconta il peso del lavoro sommerso e irregolare. Abbiamo un tasso di part-time involontario per coprire lavori full-time che rappresenta ormai un problema endemico. Serve una banca dati nazionale per il lavoro al posto di tante regionali che non comunicano fra loro».

Ci sono molte vertenze aperte da tempo pure con le multinazionali. Fra queste anche il caso Wärtsila che ha delocalizzato da Trieste per tornarsene in Finlandia...

«Il mismatch tra domanda e offerta, sul quale il Cnel sta indagando, è causato da una forte sfasatura tra le competenze richieste dal mondo del lavoro e quelle acquisite nei percorsi di formazione. La rivoluzione tecnologica degli ultimi 20 anni e oggi la transizione digitale e la transizione verde possono portare grandi cambiamenti nella geografia del lavoro. Bisogna investire nei percorsi professionali e migliorare l’attività di formazione per consentire un reskilling sia dei lavoratori adulti che dei più giovani. Mi pare che il Nordest,e Trieste in particolare con la sua comunità scientifica d’eccellenza, rappresentino un buon esempio di integrazione fra università, industria e mondo del lavoro».

L’emergenza pandemia ha aggravato le disuguaglianze?

«Durante la pandemia si è creata una sorta di welfare community formata dalle associazioni di volontariato e dal Terzo settore che hanno risposto ai bisogni di un Paese che in quel momento appariva smarrito e disorientato. Il Cnel ha realizzato una ricerca, insieme all’Istat, focalizzata su questi fenomeni. È emerso molto bene come le diseguaglianze riguardano più aspetti della vita: educazione, reddito, lavoro, aspettativa di crescita, salute».

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