Caporalato in agricoltura, la richiesta dei sindacati Fvg: «Serve un tavolo ad hoc»

Le organizzazioni regionali di Cisl, Cgil e Uil: un confronto con istituzioni e forze dell’ordine. Spesso dietro ai contratti si nascondono buste paga con neanche un decimo delle ore di attività 

Lucia Aviani
Caporalato
Caporalato

 

L’evoluzione del mercato del lavoro nel comparto agricolo, frutto di una concatenazione di dinamiche che alla carenza ormai strutturale di manodopera “locale” affianca il mutamento degli scenari geopolitici e l’ingresso di richiedenti asilo o rifugiati – con conseguente sbilanciamento verso la rotta balcanica –, preoccupa le organizzazioni sindacali e professionali di settore, che chiedono l’istituzione urgente di un tavolo di lavoro ad hoc, con Regione, ispettorato del lavoro, Inps, comando Carabinieri per la tutela del lavoro, corpo della Guardia di Finanza.

Evidenziando le ripercussioni negative della situazione in essere sulle imprese agricole, Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil del Friuli Venezia Giulia esortano ad avviare tempestivamente un confronto presso la Prefettura regionale, per individuare le possibili «azioni pratiche di contrasto al lavoro irregolare, che sempre più spesso sfocia in veri e propri fenomeni di sfruttamento e caporalato».

Realtà che sembravano limitate al sud della penisola, insomma, interessano ormai ampiamente anche il nord Italia: indispensabili, dunque, «prevenzione, vigilanza e repressione» ribadiscono le parti sociali, tenendo monitorata la filiera produttiva agroalimentare, l’andamento dei prezzi dei beni agricoli, l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. Parallelamente, sollecitano i sindacati, andrà valorizzato il ruolo dei Centri per l’impiego e si dovrà agire sul fronte dei trasporti, di alloggi e foresterie, protezione, prima assistenza e inserimento sociale delle vittime di sfruttamento lavorativo.

Nel 2017, citano a titolo di paragone Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil, in Friuli Venezia Giulia risultavano occupate in agricoltura 76 persone di etnia pakistana; nel 2024 se ne contavano 2.041. Negli ultimi anni sono proliferate le aperture, da parte di immigrati, di attività autonome catalogate come “aziende agricole senza terra”, «ovvero partite Iva – spiegano ancora i sindacati di categoria – che reclutano soggetti da offrire ad “aziende agricole con terra”».

Nel 2020 ne sono nate 358: 237 risultano attività di supporto all’agricoltura; 128 di esse sono intestate a cittadini di origine pakistana, 43 a indiani.

«Nella gran parte dei casi – chiariscono le sigle sindacali – si riscontra la regolare stipula di un contratto di lavoro, che però nasconde condizioni di sfruttamento lavorativo, mancata denuncia delle giornate di impiego, buste paga che riportano neanche un decimo delle ore di attività, assenza dei pagamenti degli stipendi».

Di qui la necessità del tavolo di cui sopra, anche al fine della creazione e definizione di un albo regionale delle aziende agricole senza terra regolari e in regola con i necessari adempimenti fiscali, tributari e previdenziali.

Gli assessori regionali al lavoro, formazione, istruzione, ricerca, università e famiglia, Alessia Rosolen, e alle autonomie locali, funzione pubblica, sicurezza e immigrazione, Pierpaolo Roberti, «hanno manifestato subito disponibilità, ma ad oggi – contestano Cigl, Cisl e Uil – nemmeno il neo costituito Osservatorio regionale a contrasto del fenomeno è stato convocato e ormai rimangono poco più di sei settimane perché possa entrare in funzione, evitando così che vadano persi i 60 mila euro stanziati per il 2025 nella legge di bilancio regionale per avviare, con più attori e parti sociali, tutte le iniziative necessarie per contrastare lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici in agricoltura».

Già nell’aprile 2022, ricordano in conclusione le sigle sindacali di categoria, era stata avanzata richiesta di insediamento della Sezione Territoriale Rete del Lavoro Agricolo di Qualità presso le sedi territoriali dell’Inps, per rafforzare gli strumenti di contrasto al lavoro sommerso, all’evasione contributiva, nonché alla promozione di azioni volte a favorire la gestione dei flussi di manodopera stagionale e l’assistenza ai lavoratori agricoli stranieri, «ma nonostante i solleciti anche questa richiesta risulta a tutt’oggi inevasa».

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