Oltre la metà dei giovani cerca un lavoro flessibile e imprese che formino
I risultati di una ricerca di Confindustria Veneto Est e Forema. Il quadro che emerge è quello di un divario crescente tra le aspettative delle nuove generazioni e le strategie aziendali

Per i giovani del Nord Est il lavoro ideale è flessibile, ben remunerato, ricco di opportunità formative, tecnologicamente avanzato e, se possibile, anche stabile.
La mission etica dell’azienda, pur apprezzata, incide meno sulle scelte.
A rivelarlo è l’indagine “Giovani, Tecnologia e Mismatch nel Nord Est 2025”, condotta da Fòrema, società di formazione di Confindustria Veneto Est, su un campione di 1.015 giovani tra 18 e 34 anni e 486 imprese di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige.
Il quadro che emerge è quello di un divario crescente tra le aspettative dei giovani e le strategie aziendali: da un lato chi cerca ambienti dinamici, digitali e flessibili; dall’altro chi fatica ad abbandonare modelli organizzativi e contrattuali più tradizionali.
Alla domanda su cosa conti di più nella scelta di un impiego, il 55% indica l’equilibrio vita-lavoro e la flessibilità (oraria e organizzativa); il 53% la retribuzione; il 49% la possibilità di crescita e formazione.
Seguono l’uso di tecnologie avanzate (IA, automazione, analisi dati) per il 44%, la stabilità contrattuale (38%) e il benessere organizzativo (35%). Solo un giovane su quattro (25%) considera prioritario l’impegno dell’azienda in ambito sociale e ambientale.
Il lavoro agile è ormai percepito come “nuova normalità”: circa l’80% auspica formule ibride o da remoto, e l’88% sarebbe disposto ad accettare una riduzione dello stipendio – tra il 5 e il 10% per i neoassunti – pur di ottenere maggiore libertà di lavorare da casa o con orari flessibili.
Quando immaginano il datore di lavoro ideale, i giovani del Nord Est mostrano preferenze nette: solo il 6% sceglierebbe la Pubblica Amministrazione. Il 38% sogna una PMI ad alto tasso tecnologico (meglio se del territorio), il 30% una grande impresa strutturata, il 16% la propria startup, e il 10% una multiutility.
Dal lato delle imprese, il 64% segnala difficoltà nel reperire giovani con competenze adeguate, soprattutto nei profili tecnico-produttivi e digitali: mancano specialisti della produzione (49%), tecnici di manutenzione (42%), addetti al controllo qualità (37%) e data analyst (31%).
Proprio quelle figure che potrebbero aiutare le aziende a innovare processi e modelli di business.
Le competenze più ricercate – analisi dati, programmazione di macchine industriali (PLC, robotica), metrologia, cybersecurity – risultano spesso solo parzialmente presenti nei candidati.
In molti casi, metà delle imprese valuta “alta” la difficoltà di trovare giovani preparati su queste skill, e oltre un terzo segnala carenze su IA, linguaggi di scripting e database. Il risultato è un mismatch evidente: la tecnologia evolve più rapidamente della formazione universitaria e tecnica.
Per attrarre giovani talenti, le aziende puntano ancora su retribuzioni competitive (62%) e contratti a tempo indeterminato (55%), seguiti da formazione interna (48%) e percorsi di crescita (42%).
Solo il 19% ha introdotto maggiore flessibilità (oraria o da remoto) come leva di attrattività, mentre oltre la metà (54%) mantiene politiche di lavoro esclusivamente in presenza.
E appena un’impresa su tre valorizza in modo esplicito la propria dimensione tecnologica nelle offerte di lavoro.
Ne nasce un paradosso: i giovani sognano pmi innovative e strumenti digitali, ma uno su cinque (19%) rifiuta offerte considerate “poco tecnologiche” o “non innovative”.
L’indagine mette in luce una duplice sfida.
Le imprese devono accelerare su innovazione tecnologica e organizzativa, adottando modelli flessibili e investendo in cultura digitale e manageriale. I giovani, invece, devono poter contare su percorsi formativi più aggiornati e in linea con le esigenze reali del mercato.
«Questa ricerca fotografa con grande chiarezza una tensione, e attenzione, che tutti, come sistema produttivo, dobbiamo affrontare con responsabilità: la distanza tra le aspettative dei giovani e i modelli organizzativi delle nostre imprese», commenta Paola Carron, Presidente di Confindustria Veneto Est. «Non è un problema di impegno o attitudine al lavoro, ma di linguaggi diversi. I ragazzi cercano ambienti tecnologici, percorsi di crescita e flessibilità: non possiamo più considerarli estemporaneità, ma bisogni reali e fattori strategici per attrarre talento e innovazione». —
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