La crisi del Nordest e i tre nodi irrisolti del presente

Il richiamo a un rinnovamento della classe dirigente del Nordest della presidentessa di Unindustria Treviso ha avuto il merito di rimettere in moto un dibattito sulle difficoltà che questo territorio sta vivendo e sulla consistenza della sua attuale classe dirigente. L’urgenza di una riflessione sul tema è più che giustificata: le traversie delle due banche popolari costituiscono solo l’ultimo capitolo di una lunga lista di incidenti di percorso che hanno segnato il Nordest negli ultimi cinque anni. Quello che colpisce maggiormente è la ritrosia con cui la politica, il mondo della rappresentanza, i sindacati e le università - in generale ciò che chiamiamo classe dirigente - hanno affrontato e discusso le tante difficoltà incontrate su fronti diversi, dal progetto Veneto Nanotech alle dighe mobili del Mose. Sorprende soprattutto la mancanza di senso critico rispetto a insuccessi che, per rilevanza e aspettative, avrebbero meritato ben altra attenzione.
Qualcuno potrebbe suggerire che questi eventi sono potuti passare in secondo piano perché il Nordest ha continuato a crescere come ha fatto in passato. I dati in realtà parlano di uno scenario diverso. La crisi di questi anni ha inciso profondamente sull’economia locale. Il Nordest nel 2014 ha registrato lo stesso prodotto interno lordo del 2000. Dal 2008 al 2014 abbiamo cancellato tutta la crescita dal 2000 al 2007 (più di 8 punti percentuali). La ripresa registrata nel 2015, +0,8 %, ha suscitato un entusiasmo legittimo, anche se le turbolenze geopolitiche di quest’anno rischiano di ridimensionare la nostra capacità di crescita sui mercati internazionali. A livello di mercato del lavoro, dal 2007 in poi il numero di persone in cerca di occupazione è cresciuto in modo sensibile (da 104mila a oltre 230mila nel 2014). Nel 2015 questo numero ha fortunatamente cominciato a calare. Che la tendenza sia al miglioramento anche nel 2016 è da verificare. Preoccupa, infine, il quadro demografico che oggi caratterizza l’intero Nordest.
Le elaborazioni promosse dalla Fondazione Nord Est testimoniano un invecchiamento sistematico della popolazione aggravato dalla scarsa attrattività del nostro territorio. Facciamo fatica a trattenere i nostri giovani, in particolare laureati, che dall’inizio della crisi hanno cominciato a viaggiare oltre confine in cerca di migliori opportunità di lavoro. Come procedere per un rilancio di questo territorio? Su quali progetti mobilitare politica e rappresentanza? È difficile dare risposta a una domanda così impegnativa. Più utile, in questa sede, è indicare tre temi coi quali qualsiasi classe dirigente sarà costretta a fare i conti fin da subito.
Un primo aspetto riguarda l’assetto produttivo della regione. La manifattura costituisce il punto di forza dell’economia del Nordest, prova ne è la sua capacità di proiettarsi oltre i confini nazionali con un export in continua ripresa dal 2009.
Oggi questa manifattura è chiamata a confrontarsi con una vera e propria rivoluzione tecnologica: l’introduzione del digitale nei processi produttivi trasforma in modo sostanziale il quadro competitivo internazionale offrendo nuove opportunità di crescita così come nuovi rischi. La domanda è se il Nordest, industriali in primis, sia pronto a cogliere la sfida legata all’Industria 4.0 o se invece questa rivoluzione ci costringerà a giocare un ruolo di secondo piano.
Un secondo tema di confronto riguarda l’assetto territoriale e la sua governance. Nell’economia globale i principali luoghi di produzione della ricchezza sono le grandi aree metropolitane dove si concentrano intelligenza, talento e opportunità di crescita. In questi anni l’area compresa fra Padova, Venezia e Treviso non è riuscita a configurare un polo metropolitano all’altezza della competizione internazionale. Per contro Milano, soprattutto grazie agli importanti investimenti legati ad Expo, è riuscita a ridare slancio alla propria attrattività.
Riusciremo a essere parte integrante di quella che Piero Bassetti chiama la metropoli italica, ovvero il grande sistema metropolitano compreso fra Torino, Milano e Venezia? Anche su questo punto la risposta non è affatto scontata.
Un terzo aspetto riguarda il capitale umano. Molte delle possibilità future di questo territorio dipendono dalla sua capacità di far crescere giovani preparati e di attrarre talenti da tutto il mondo.
Affinché ciò sia possibile, il Nordest deve dotarsi di un progetto credibile e di istituzioni formative (le università e gli Its prima di tutto) in grado di attirare da tutto il mondo intelligenza e progettualità coerenti con le ambizioni del territorio. L’obiettivo deve essere quello di invertire la tendenza che ha caratterizzato questi ultimi cinque anni facendo diventare il Nordest un approdo plausibile per giovani capaci di intraprendere e di partecipare attivamente a progetti ambiziosi. Per ora la classe dirigente del Nordest non ha ancora elaborato progetti chiari su nessuno di questi temi chiave. Segni di una nuova sensibilità ci sono, a partire dal cantiere Arsenale 2022 promosso dalle associazioni di categoria. Speriamo che il richiamo di Maria Cristina Piovesana acceleri un’assunzione di responsabilità su questi temi contribuendo alla definizione di un progetto compiuto per il rilancio del Nordest.
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