La rotta artica minaccia i porti del Nord Est: «Servono infrastrutture»
La Cina inaugura il nuovo corridoio con l’Europa che accorcia i tempi di viaggio a 18 giorni. Deandreis: «Trieste resta crocevia decisivo». Destro: «A rischio la centralità del Mediterraneo»

Diciotto giorni di viaggio invece di quaranta. È quanto promette la rotta artica che tra pochi giorni sarà inaugurata da una compagnia cinese con un servizio regolare di container da Shanghai a Rotterdam. Un taglio drastico ai tempi di navigazione rispetto alla rotta tradizionale via Suez, capace di accorciare anche di dieci giorni il collegamento ferroviario euro-asiatico.
Un passaggio che potrebbe cambiare la geografia del commercio mondiale e ridisegnare gli equilibri della logistica europea, con conseguenze dirette per i porti del Mediterraneo a partire ovviamente da quelli di Trieste e Venezia, crocevia naturale dei traffici per l'Europa.

«Quattro anni fa abbiamo pubblicato un rapporto sulla rotta artica, prima della guerra in Ucraina e dei conflitti più recenti in Medio Oriente», spiega Massimo Deandreis, direttore del centro studi Srm (gruppo Intesa Sanpaolo), «molti scenari sono cambiati, ma alcuni elementi di fondo restano. La rotta corre quasi interamente in acque territoriali russe o rivendicate da Mosca. Già allora lo consideravamo un fattore critico. Oggi, con il riavvicinamento tra Russia e Cina e il deterioramento delle relazioni con l'Occidente, questo aspetto pesa ancora di più. Dal punto di vista occidentale, affidarsi a un percorso interamente controllato da Mosca non è certo un vantaggio».
Per l'Italia e per il Nord Est la sfida è quindi quella di rafforzare la competitività dei suoi porti. «In questo scenario Trieste ha grandi opportunità», sottolinea il direttore di Srm, «è un porto d'accesso all'Europa, non solo all'Italia. È sia commerciale che passeggeri, e ha un'altissima connessione ferroviaria, che consente di raggiungere rapidamente l'Europa centrale ed orientale. Intermodalità e doppia vocazione sono i fattori che ne rafforzano la traiettoria di crescita. Certo, ci saranno anni congiunturali migliori e peggiori, ma il trend di lungo periodo per Trieste è certamente positivo».
Dal punto di vista geopolitico va però sottolineato che solo la Russia dispone di una flotta consistente di rompighiaccio nucleare, indispensabile per mantenere la rotta aperta anche d'inverno. «La Cina ne ha pochi, altri Paesi non ne hanno affatto», aggiunge Deandreis, «Mosca può quindi decidere se aprire o chiudere il passaggio a suo piacimento.
E lungo il percorso mancano veri punti di soccorso: esistono piattaforme petrolifere e del gas che possono fungere da appoggio, ma non sono concepite come “rescue point”».
Secondo Deandreis, il vero limite è logistico: «Lo shipping oggi si basa su mega-navi da 20 mila Teu, che funzionano solo se toccano diversi porti lungo la rotta. L'Articolo non ha mercati intermedi: la nave parte piena e scarica solo all'arrivo. È un modello incompatibile con l'evoluzione del trasporto container». Per questo motivo il rotta polare ritiene non sia destinata a sostituire Suez.
«Piuttosto che un corridoio per container, potrebbe diventare un rotta commerciale energetico», aggiunge Deandreis, «lungo il percorso ci sono giacimenti di petrolio e gas, e le navi che trasportano rinfuse solide o liquide hanno dimensioni più contenute e si prestano meglio al passaggio artico. In uno scenario di distensione geopolitica, potrebbe diventare un canale utile per materie prime ed energia».
L'apertura della rotta artica solleva però interrogativi cruciali per il Mediterraneo. Se i flussi dovessero orientarsi a Nord, gli scali italiani rischierebbero di perdere centralità. «Ma Suez», spiega Deandreis, «resta insostituibile perché collega mercati importanti: India, Golfo, Sud-Est asiatico, Europa e Stati Uniti. È proprio questa pluralità di mercati a rendere il canale centrale».
E un messaggio chiaro arriva anche dal mondo produttivo. Leopoldo Destro, delegato di Confindustria a Trasporti, Logistica e Turismo, avverte: «La rotta artica riduce di sette giorni i tempi rispetto a Suez e di sedici rispetto al Capo di Buona Speranza. Un vantaggio importante in termini di tempo e costi, che rischia di ridurre la centralità del Mediterraneo.
È quindi fondamentale spingere su rotte più vicine a noi e garantire che i porti e gli interporti siano pienamente integrati nei grandi corridoi logistici europei. Le infrastrutture saranno sempre più leve strategiche di competitività in grado di modificare gli equilibri commerciali a livello globale e noi dobbiamo rimanerci ancorati».
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