Inchiesta sulla Tav, Greco: «Le grandi opere sono insufficienti, servono interventi diffusi»
L’analisi del presidente dell’Interporto di Padova, professore al Bo: «La sfida è avere una politica infrastrutturale che non si fermi ai lavori simbolici. Le città collegate dall’alta velocità hanno dimostrato quanto questo tipo di sistema possa generare sviluppo»

«I tempi lunghi per il completamento dell’alta velocità fino a Padova penalizzano il Nord Est che rappresenta uno dei motori economici del Paese». Ne è convinto Luciano Greco, professore di Scienza delle finanze all’università di Padova, direttore del Centro di ricerca interuniversitario sull’economia pubblica e presidente dell’Interporto di Padova.

Quali sono le conseguenze del mancato completamento dell’alta velocità?
«Le città collegate dall’alta velocità hanno già dimostrato quanto questo tipo di infrastruttura possa generare sviluppo: basti pensare all’effetto che ha avuto il collegamento tra Firenze, Bologna e Milano. I tempi di percorrenza si sono dimezzati, rendendo possibili spostamenti che prima erano impensabili. Padova ad esempio oggi risente della mancanza di integrazione nel sistema ad alta velocità, in particolare sul fronte passeggeri. Questa carenza penalizza le imprese locali, che potrebbero invece beneficiare di collegamenti efficienti».
Quali sono i principali effetti sugli snodi logistici?
«Come Interporto di Padova abbiamo una capacità logistica già elevata. L’anno scorso avevamo la capacità, certificata da Rete ferroviaria italiana, di effettuare 13.000 treni. Il mercato ne ha richiesti solo 8.000. La nostra capacità non è ancora satura e, probabilmente, potremo arrivare anche a 15.000-16.000 treni all’anno. Tuttavia, per gestire volumi maggiori e alleggerire il traffico stradale serviranno investimenti di potenziamento della rete ferroviaria».
Secondo alcuni osservatori il rischio è anche quello di arrivare impreparati all’apertura del tunnel di base del Brennero. È d’accordo?
«Si tratta di un’opera realmente rivoluzionaria e il rischio c’è. La capacità reale della rete ferroviaria dipende dall’anello più debole (i cosiddetti “colli di bottiglia”). Se da un lato il tunnel potrà permettere il transito di treni da 1.500 metri, dall’altro sappiamo che l’attuale rete italiana non può supportare questo standard. Anzi, gran parte dell’attuale rete non consente nemmeno il transito di treni merci da 750 metri, che è lo standard europeo. Per adeguarci servono numerosi interventi minori per rimuovere i colli di bottiglia: incrementare il numero di stazioni di sosta con binari da 750 metri e ammodernare le gallerie. Investimenti contenuti, ma fondamentali per sfruttare davvero la capacità aggiuntiva che il tunnel del Brennero offrirà».
Però il Pnrr ha puntato soprattutto sulla realizzazione di grandi opere.
«Il Piano ha giustamente finanziato molte grandi opere, che probabilmente verranno realizzate perché affidate a soggetti capaci di realizzarle. Tuttavia ha trascurato interventi minori, spesso più rilevanti per il funzionamento del sistema. Il rischio per il Veneto è che il Pnrr consenta di completare l’alta velocità fino a Vicenza, ma l’opera rimanga incompiuta fino a Venezia per dieci o quindici anni. La vera sfida è adottare una politica infrastrutturale coerente, che non si fermi alle opere simboliche ma completi ciò che è stato avviato. Se abbiamo un treno ad alta velocità, dobbiamo farlo funzionare davvero».
Un altro collo di bottiglia è il collegamento ad est verso a Trieste?
«Si tratta di una via strategica per i traffici con l’Est Europa. La tratta Venezia-Trieste deve essere rafforzata altrimenti rischiamo di perdere competitività. Ma serve un’adeguata rappresentanza politica per attrarre investimenti in opere fondamentali per un’area che rappresenta uno dei motori economici del Paese».
Il governo vede nel Veneto una piattaforma logistica per la futura ricostruzione dell’Ucraina. È possibile con queste infrastrutture?
«L’Italia potrà giocare un ruolo chiave, ma non sarà lo Stato da solo a indirizzare i flussi. Il pubblico può e deve creare le condizioni: infrastrutture adeguate, strumenti finanziari, garanzie. Non servono investimenti ciclopici per garantire la puntualità e la regolarità dei trasporti. Il pubblico deve ascoltare il privato e agire con un partenariato strategico. Il rischio, altrimenti, è ripetere esperienze fallimentari come quelle del passato, in cui iniziative pubbliche anche promettenti non hanno prodotto risultati concreti».
(2 – continua)
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