Siderurgia, sull’acciaio green è battaglia in Europa

Semino (Acciaierie Venete): «I nostri forni elettrici molto meno inquinanti». Industrie del Nord Est in vantaggio su quelle del continente Gozzi: «Ma le emissioni effettive non vengono considerate»

Federico Piazza
L'interno di uno stabilimento del gruppo Pittini.
L'interno di uno stabilimento del gruppo Pittini.

I criteri di certificazione del cosiddetto acciaio green entrano nella battaglia della siderurgia italiana per cambiare e rendere più coraggioso l’Eu Steel Action Plan, che dovrebbe rilanciare la competitività di uno dei settori cardine dell’industria manifatturiera del Vecchio continente.

Il tema dell’acciaio green di recente è stato sollevato pubblicamente dal presidente di Federacciai Antonio Gozzi. La questione interessa molto anche i produttori siderurgici triveneti di acciaio con forno elettrico, come per esempio i gruppi Acciaierie Venete, Beltrame, Bertoli Safau e Pittini. Tutte aziende che concorrono a determinare il primato dell’elettro siderurgia italiana, che rappresenta oltre l’80% della produzione nazionale di acciaio rispetto a una media europea ancora inferiore al 50%.

L’Eu Steel Action Plan, le cui linee guida sono state rivelate a marzo, è considerato ancora troppo vago dalla stragrande maggioranza degli operatori siderurgici. Le aree in cui spazia con i relativi obiettivi sono la riduzione dei prezzi dell’energia elettrica, lo stop all’export di rottami ferrosi, la semplificazione del meccanismo Cbam sulle emissioni di CO2 incorporate nei prodotti in acciaio importati da paesi extra Ue nell’ambito della riforma del sistema Ets del mercato dei crediti di carbonio, il rafforzamento delle misure di salvaguardia e di antidumping rispetto all’import di acciaio a basso costo da Asia e Africa.

Ma tra le questioni aperte c’è anche la definizione, e la conseguente “etichettatura”, dell’acciaio verde in base all’effettiva impronta carbonica del processo di produzione, dell’energia e delle materie prime utilizzate. Il tema in Europa divide l’elettro siderurgia a basse emissioni carboniche a trazione italiana, che utilizza come materia prima rottami ferrosi riciclati e che ha una maggiore incidenza delle fonti rinnovabili nel mix energetico, dalla produzione a ciclo integrale con alto forni che invece è ancora prevalente in Germania e in buona parte del resto del continente.

«A parità di volumi di acciaio prodotto – spiega Francesco Semino, Chief Sustainability Officer di Acciaierie Venete – le emissioni di CO2 del ciclo integrale con alto forno sono mediamente dieci volte superiori a quelle con forno elettrico. E infatti dovrebbe essere ridotta e convertita con tecnologie meno impattanti, per cercare di raggiungere i target di decarbonizzazione Ue».

«Ad oggi – aggiunge Semino – non c’è però una normativa di riferimento che stabilisca cosa è l’acciaio green. Così i produttori a ciclo integrale, che sono chiamati a fare lo sforzo maggiore di riduzione delle emissioni, vorrebbero che fossero maggiormente valorizzati i progressi fatti rispetto al livello effettivo di emissioni. Anche se va detto che economicamente il mercato privato spesso ancora non riconosce un valore in più per l’acciaio decarbonizzato e per gli sforzi degli investimenti fatti in tale direzione».

Dimostrare un’impronta carbonica nettamente più bassa del proprio acciaio aiuta in ogni caso ad accreditarsi come fornitori di aziende industriali sensibili in materia di sostenibilità ambientale così come nel punteggio delle gare d’appalto per opere pubbliche. Molto tranchant sul tema, come suo solito, Antonio Gozzi: «Stiamo facendo una battaglia campale sul green steel perché la Commissione Ue sembra essere disponibile ad assimilare una riduzione del 20% delle emissioni carboniche sull’acciaio da altoforno al livello di emissioni del nostro acciaio italiano da forno elettrico che è molto più decarbonizzato. Come Federacciai continuiamo a proporre, e ci arriveremo, una due diligence sull’acciaio green, perché pensiamo che si debbano rispettare le effettive emissioni della produzione di acciaio e non criteri convenzionali».

Gozzi ha inoltre criticato l’Ue nell’ambito delle politiche energetiche, facendo un esempio preciso: «I produttori siderurgici italiani mediamente oggi comprano in rete energia verde per un terzo del loro fabbisogno e per un altro terzo la genereranno da fonti rinnovabili con propri impianti grazie all’Energy Release che sta partendo. Il rimanente terzo potrebbe essere energia nucleare francese acquistabile con accordi mirati con Edison ed Edf. Ma non si riesce a farlo a causa di regole Ue che non consentono a consorzi di imprese industriali di singoli Paesi membri di stipulare contratti a lungo termine di tipo PPA - Power Purchase Agreement per l’acquisto di energia a un prezzo definito – con società di un altro Paese membro. Questo è uno dei tanti ambiti in cui è ora che a Bruxelles si sveglino e facciano qualcosa, come ha detto Draghi». —

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