Sentenza Bpvi, parla Matteo Marzotto: «Zonin molto sapeva e tanto non ha capito e c’è chi non ha pagato»

Matteo Marzotto, imprenditore, manager internazionale, nella vicenda della Banca Popolare di Vicenza, rappresentava un po’ il puro della situazione, l’uomo giusto, con il nome giusto, da far sedere in consiglio per dare luce mentre la banca vicentina si avviava al crepuscolo. Entrò in consiglio a fine 2014, su spinta di moltissime personalità dell’impresa e della politica del territorio, in pochi mesi capì che molte cose non funzionavano.
Dottor Marzotto, ieri c’è stata la condanna, a Zonin quella più lunga e poi a scendere ai vice dell’ex ad Samuele Sorato. Cosa pensa della sentenza?
Non posso commentare la sentenza, perché è un processo di sintesi di un percorso. Credo che ci siano state situazioni che hanno pagato di meno, non voglio dire che ci sia qualcuno che ha pagato di più, ma sicuramente in questa storia qualcuno deve baciarsi i gomiti.
Ha più parlato con Zonin?
Ci siamo salutati all’udienza del gennaio 2020 dove ho testimoniato. Io scindo le due cose, vedo una persona anziana nella sua situazione e lo guardo umanamente. Poi se guardo l’uomo nella sua professione, ecco non mi piace. Ma chiunque stia male o abbia delle difficoltà mi provoca dispiacere. È evidente che sono molto più dispiaciuto e rattristato per tutte quelle persone che ci hanno rimesso il loro patrimonio, lui per lo meno ha passato 25-30 anni facendo l’uomo forte del territorio. Mi è anche molto dispiaciuto per i suoi figli, purtroppo un tale caos non poteva che travolgere tutto e tutti.
Era consapevole di ciò che stava avvenendo secondo lei?
Secondo me molto sapeva e molto non ha capito, come ho detto in udienza l’anno scorso. Questo non significa che non abbia responsabilità, ma io non l’ho mai sentito parlare da grande banchiere di sistema, mi spiace dirlo. Comunque no, dopo l’udienza non l’ho più sentito.
Perchè ha accettato di diventare consigliere della banca nel 2014?
Prima di tutto io voglio dire che sono estremamente rammaricato? Questa è una storia terribile, triste, shoccante dove non solo le persone hanno perso i propri patrimoni, ma in cui hanno anche visto vacillare la loro capacità di valutazione, la loro capacità di comprensione e discernimento. Io stesso mi sono sentito così ad un certo punto. Tornando alla sua domanda, io ero in una fase un po’ delicata della mia vita, non andavo d’accordo con quella parte di famiglia che poi mi spinse a uscire da tutto. Ero diventato presidente della Fiera di Vicenza per logica di servizio e perché mi interessava il settore delle fiere, che vedevo come incubatori di valore, in più in un comparto come il gioiello che per me fa parte della filiera lunga del fashion. Poi ero anche presidente del Cuoa, e visto che ho abitato il mondo, ma nominalmente sono di Valdagno, mi sentivo e mi sento vicino al territorio, così quelle due cose che facevo sono diventate tre. Prima di accettare presi delle informazioni, parlai con personaggi importanti, veneti e non, e quello che ne usciva era una banca che rappresentava un centro di eccellenza, forse anche un centro di potere, ma comunque solido e importante per un territorio straordinario
Ma si sa che lei era da un po’ che veniva corteggiato e il mondo della finanza non era mai stata la sua acqua.
Ciò che mi ha convinto è stato anche il pivot dello statuto di una banca popolare dove il consiglio di amministrazione avrebbe dovuto esprimere le eccellenze del territorio in modo multiculturale e multidisciplinare, un governo della banca che fosse specchio del territorio. Io amo il Veneto, chiamiamolo Nordest, è un
luogo
area incredibile che sa continuamente reinventarsi, guardo molti imprenditori con grande ammirazione. Io ero indipendente, non avevo un’azione o un solo euro della banca, credevo e credo di essere una persona trasparente e coerente, prese le informazioni accettai.
E cosa trovò nella banca?
Un problema era che c’era un consiglio molto numeroso, con diversi membri che erano lì da molti anni. I guai evidentemente erano già stati combinati. Iniziai ad essere in difficoltà quando iniziarono a moltiplicarsi i documenti che ci arrivavano, migliaia di pagine che arrivavano su questi ipad qualche giorno, a volte, qualche ora prima dei consigli. Ho cominciato ad essere perplesso e via via sempre più preoccupato. Ci sono state delle fasi in cui proprio non capivo, e io più non capisco più chiedo. E così quando è apparsa la storia dei fondi maltesi, i nomi di questi personaggi, ho iniziato a chiedermi come fosse possibile che un Istituto con quel pedigree avesse rapporti con gente del genere ho iniziato a trovarmi in grande disagio.
Quando ha iniziato a capire che le cose non quadravano?
Mi chiedevo allora e continuo a chiedermi, ma sono parole al vento perché tanto nessuno può rispondermi, come un’intera comunità abbia potuto credere che la banca continuasse a mantenere il valore del titolo elevato, a dare dividendi e continuare ad erogare finanziamenti, quando il sistema bancario italiano dimostrava evidenti debolezze. C’erano gli interventi per il sociale, per l’arte, la banca sempre pronta a staccare assegni, mentre attorno a noi evidentemente succedevano cose diverse.
Avevamo davanti una cosa, ma forse non la si voleva guardare bene. Anche se un tale disastro, quello era comunque difficile da immaginare. D’altronde come si poteva. A parer mio la governance, pur rimanendo coerente con i dettami dello statuto avrebbe dovuto avere un ricambio continuo, uno, massimo due trienni, invece in quel consiglio c’erano persone da decenni. Io non sono un tecnocrate bancario e mi reputo, mediamente intelligente, pur avendo avuto numerose esperienze in settori diversi, quella modalità non l’ho proprio capita.
Avrebbe voluto andarsene prima.
In realtà sì, ma ci dissero che non era opportuno per non danneggiare il processo di quotazione. Oggi con maggiore cinismo dico che avrei mandato tutti al diavolo ben prima. Io capisco che si siano norme, regole e soprattutto interessi ma ciò che è successo non solo ha vilipeso un intero territorio, chi ha pagato duro queste condotte sono quelle centinaia di migliaia di persone che avevano messo la loro vita nelle mani di persone che hanno tradito la fiducia per malafede, arroganza e incompetenza. È stato uno degli shock personali più forti della mia vita. Da questa situazione mi sono reso conto che in nessuna attività complessa e delicata, in particolare in quel settore, si possono firmare assegni in bianco delegando totalmente senza controllo e senza porsi delle domande, l’unico è quello che si firma al buon Dio, per chi ci crede come me, e basta. Le altre questioni vanno controllate quotidianamente, mettendosi in discussione.
Fu lei a suggerire anche Francesco Iorio, il manager che scoperchiò il vaso tirando fuori il quasi miliardo di baciate che poi diede il via all’inchiesta giudiziaria culminata venerdì con la condanna in primo grado di Gianni Zonin.
Non contavo molto, ma in una conversazione di vertice dissi che c’era un manager giovane, che avevo conosciuto semi casualmente e che mi avevo fatto una buona impressione. Dissi che senza fare selezioni lunghe e onerose forse una chiacchierata informale, senza impegno, poteva avere un senso. Francesco Iorio credo abbia fatto un lavoro serio, credo abbia dato un servizio all’istituto per quel che gli era possibile in quel momento. Si è speso e non era facile con un presidente e una storia così ingombranti.
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