Pozzo (Confindustria Udine): «Il nostro progetto per portare in Friuli nuovi lavoratori»
«Dopo l’Africa, cerchiamo in Sud America». Oltre al posto in azienda, focus sulle case a prezzi accessibili e formazione

Alla vigilia della pausa estiva della manifattura friulana, il presidente di Confindustria Udine Luigino Pozzo fa il punto sui cantieri aperti dall’associazione in vista della ripresa autunnale. Il focus è su lavoro, formazione, attrattività e infrastrutture. Obiettivo: governare un cambiamento demografico epocale e garantire competitività a lungo termine per il tessuto industriale locale.
Presidente, il tema del mismatch tra domanda e offerta di lavoro è ormai strutturale. Come vi state muovendo?
«È una necessità. Dobbiamo far fronte a una perdita stimata di 100.000 lavoratori da qui al 2035. Per questo, come Confindustria, stiamo lavorando su più fronti: dalla formazione all’attrattività, con commissioni ad hoc che collaborano strettamente. Sul piano della formazione abbiamo avviato progetti in Nord Africa e ci prepariamo a replicarli in Sud America. Sul fronte dell’attrattività, stiamo elaborando un importante piano di housing sociale, per offrire soluzioni abitative a prezzi calmierati a chi viene a lavorare sul nostro territorio».
Dopo l’Egitto e il Ghana si guarda dunque al Sud America...
«In particolare all’Argentina, e poi al Brasile. La rete dei Fogolârs furlans si sta attivando, saranno coinvolti – come in Africa – anche i Salesiani. Prevedo che a settembre organizzeremo una missione. L’obiettivo è portare in Friuli giovani già formati nei Paesi d’origine da inserire nelle nostre aziende, oppure completarli nella formazione qui, presso l’Its, per dotarli delle competenze necessarie prima dell’ingresso nel mondo del lavoro. Il modello è lo stesso dei progetti in Ghana e in Egitto, che stanno funzionando bene. Con un vantaggio: molti italo-argentini hanno il doppio passaporto e quindi non rientrano nelle quote previste dal decreto flussi, che sono limitate. Il nostro obiettivo è portare qui non lavoratori singoli, ma famiglie, così da favorire l’integrazione e il radicamento».
E qui si apre il tema dell’attrattività, che vale tanto per l’immigrazione esterna quanto per quella interna…
«Il lavoro sicuro da solo non basta. Servono formazione, un salario adeguato e una casa. Sul fronte dei salari ci stiamo confrontando con i sindacati, dove la leva principale è la contrattazione di secondo livello. Per quanto riguarda l’abitazione, abbiamo elaborato un progetto di housing sociale con il quale puntiamo a mettere a disposizione 2.000 alloggi. Parliamo di un intervento da oltre 200 milioni di euro. La prima tappa sarà la creazione di un’associazione del Terzo Settore – quindi un ente no profit – in collaborazione con le principali associazioni di categoria, coinvolgendo i Comuni, proprietari di un numero significativo di immobili dismessi, la Regione e anche l’Ue per accedere ai finanziamenti necessari».
Quindi non si costruirà, ma si recupererà l’esistente?
«Esattamente. L’idea è recuperare gli immobili inutilizzati che i Comuni hanno in carico ma non riescono a riqualificare per mancanza di risorse. Concessi alla fondazione, saranno ristrutturati e affittati a canone calmierato. Contiamo di offrire affitti a circa la metà del prezzo di mercato. Le aziende che richiederanno l’alloggio per i propri lavoratori faranno da garanti dell’investimento, trattenendo il canone dalla busta paga o includendolo in formule di welfare. La ricaduta sarà triplice: recupereremo patrimonio edilizio nei centri storici, li rianimeremo e porteremo lavoro sul territorio».
Tempi?
«I più brevi possibile. Entro l’autunno definiremo lo statuto della Fondazione, e all’inizio del 2026 condurremo un’indagine tra le aziende per raccogliere i loro fabbisogni e avviare la fase operativa del piano».
Parlando di territorio, state lavorando anche sul rafforzamento dei consorzi industriali. In che direzione?
«Stiamo valutando l’ampliamento dei confini del Cosef, includendo alcune zone come Coseano e i comuni fino al Tagliamento, oppure realtà come Buttrio. Una volta inclusi nel perimetro del consorzio, sarà necessario il supporto degli enti pubblici per realizzare prima di tutto le infrastrutture. Ma accanto alle strade vogliamo inserire anche asili, centri estivi, poliambulatori. L’altra grande sfida è infatti quella dotare i consorzi di servizi. Di recente abbiamo visitato il Carnia Industrial Park, che è molto avanti da questo punto di vista, e vogliamo seguire quell’esempio».
Molti degli strumenti citati – dalla riqualificazione urbana ai consorzi, fino alla formazione tecnica – puntano a creare un ecosistema attrattivo per le imprese e per i lavoratori. Ma il vero salto di qualità passa anche dalle competenze digitali e tecnologiche. Come state affrontando questa sfida?
«Possiamo contare sugli Its, che sono una risorsa preziosa e che dovranno sempre più diventare scuole specialistiche per formare super tecnici nei settori dove oggi si fa più fatica a trovarli. È una questione di sopravvivenza, ma anche di competitività: le nostre imprese soffrono un pesante gap rispetto a quelle asiatiche, molto più avanti delle nostre sul piano tecnologico. L’innovazione in azienda sarà ovviamente responsabilità delle imprese, ma il nostro compito è garantire una formazione all’altezza, con laboratori dotati delle tecnologie più aggiornate, sapendo che queste cambiano rapidamente e che saranno necessari investimenti costanti. A sostenerli, con il contributo pubblico, sarà la Fondazione Its, che nel frattempo diventerà proprietaria dello stabile ex Dormish, acquistato e ristrutturato dal gruppo Danieli. Nei prossimi mesi l’immobile passerà formalmente alla Fondazione, diventando così un bene della comunità».
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