Oreficeria, frena l’export: «Pesano i dazi americani»

Indagine dell’Area studi Mediobanca: il 43% delle imprese vede un calo dei ricavi nel 2025. «Negli Usa per mantenere la redditività servirà un aumento dei prezzi di circa il 20%». Vicenza più esposta alle turbolenze, Arezzo e Valenza restano trainanti

Maria Chiara Pellizzari

 

Il comparto orafo-argentiero-gioielliero italiano chiude il 2024 con un segno positivo, ma guarda al futuro con preoccupazione. Secondo un’indagine dell’Area studi Mediobanca diffusa in vista della fiera VicenzaOro che aprirà venerdì, il settore ha registrato una crescita media del fatturato pari al 5%, trainata in particolare dai distretti di Arezzo e Vicenza (entrambi a +8%), mentre Valenza ha mostrato un calo del 3%. Lo studio, realizzato su un panel di circa 250 società di capitali con fatturato sopra i 5 milioni, le cui vendite rappresentano il 90% dell’intero sistema, fa emergere forti incertezze per il futuro, espresse dalle aziende tramite un questionario somministrato tra metà marzo e fine giugno.

Per il 2025 le prospettive appaiono deboli: solo il 45% delle imprese prevede un incremento dei ricavi, mentre il 43% attende un calo e il 12% prospetta una stabilità. L’analisi evidenzia una marcata eterogeneità tra i distretti. L’ottimismo si concentra ad Arezzo (dove il 52% delle imprese prevede una crescita) e a Valenza (50%). Vicenza appare più esposta alle turbolenze internazionali: il 46% delle imprese registra infatti un calo.

In generale, la quota di aziende fiduciose in un aumento delle vendite è inferiore a quelle manifatturiere cosiddette del “IV Capitalismo” (medie e medio-grandi). Le incognite geopolitiche pesano: quasi l’80% delle aziende individua l’instabilità internazionale come fonte di rischio, seguita dal timore delle barriere commerciali (61,9%), particolarmente sentito a Vicenza (70%) e dall’intensificarsi della concorrenza di prezzo (41,3%). Non mancano le preoccupazioni per i costi energetici (33,3%) e la carenza di manodopera qualificata (30,2%).

Nonostante ciò, il comparto non resta fermo: oltre sei imprese su dieci puntano all’ingresso in nuovi mercati e allo sviluppo di nuovi prodotti. Sul fronte della transizione sostenibile, tra i risultati degni di nota la riduzione del consumo d’acqua da parte del 69% delle imprese, ma il settore rimane indietro rispetto ad altri comparti: solo il 61,5% delle aziende ha avviato iniziative Esg, contro oltre l’80% registrato sempre nel IV Capitalismo.

Un elemento positivo emerge sul fronte occupazionale: il settore, che conta circa 1.870 società di capitali, con età media di 22 anni, impiega circa 19 mila addetti (+3,2% rispetto al 2023), con una significativa presenza femminile (51%), dato che evidenzia un’inclusività ben superiore al 28% del manifatturiero nazionale. A Vicenza, in particolare, la quota di donne arriva al 63%, a Valenza al 54%, mentre ad Arezzo prevale l’occupazione maschile con il 40% di donne.

Il commercio estero, dopo un 2024 particolarmente brillante (+41,4%), segna un brusco rallentamento. Nei primi cinque mesi del 2025 l’export ha subito un calo del 15,2% (in peggioramento rispetto al meno 9,1% del primo trimestre), raggiungendo un valore complessivo di 5,88 miliardi di euro.

Determinante la contrazione del mercato turco (-42,2%), dopo gli aumenti anomali del 2024, che resta comunque il primo sbocco con il 25,8% dell’export. Andamenti divergenti caratterizzano le altre destinazioni: bene gli Emirati Arabi Uniti (+18,5%), la Svizzera (+15,3%) e il Regno Unito (+27,4%). In crescita anche Cina (+20,6%) e Giappone (+16,4%). Preoccupano invece le flessioni di Stati Uniti (-18,9%), Francia (-20,4%) e Irlanda (-26,8%).

In generale il saldo commerciale resta ampiamente positivo (4,9 miliardi) ma in calo del 18%. Secondo l’analisi del Centro Studi di Confindustria Federorafi, la firma dell’accordo Usa-Ue del luglio scorso - che prevede un dazio del 15% sui prodotti orafi - rischia di penalizzare ulteriormente le imprese italiane, soprattutto quelle medio-piccole e prive di marchio, che potrebbero subito un’erosione fino al 75% del valore aggiunto. In base alle stime, per mantenere i margini attuali sarà necessario un aumento dei prezzi di vendita negli Usa di circa il 20%. La traiettoria di crescita futura dipenderà in larga parte dall’evoluzione dei rapporti commerciali internazionali.

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