Il Nord Est e la sfida cinese. «Manifattura a rischio se l’Europa non reagisce»
Il surplus commerciale di Pechino ha superato la soglia record di mille miliardi di dollari. Ma Cosulich è ottimista: «Può essere una opportunità di sviluppo per le nostre imprese»

«La Cina ha realizzato una sovracapacità produttiva abnorme che il suo mercato interno non è riuscito ad assorbire. E quando esportano, il metodo è sempre lo stesso: prima fanno dumping per far morire i competitor e poi, una volta eliminata la concorrenza, alzano il prezzo». L’analisi di Massimo Pavin, presidente della multinazionale Sirmax con sede a Cittadella e un impianto a San Vito al Tagliamento, arriva in un momento in cui i numeri certificano un nuovo squilibrio nel commercio globale. La Cina non solo non arretra sotto i colpi dei dazi americani, ma accelera. E trasferisce sull’Europa il peso della sua espansione industriale.
Il surplus commerciale cinese, a novembre, ha superato infatti la soglia record di un trilione di dollari. Pechino controlla il 31% del valore aggiunto manifatturiero mondiale e nei primi undici mesi del 2025 ha accumulato un avanzo di 1.076 miliardi, superando con un mese di anticipo il livello del 2024. Solo a novembre il saldo attivo è stato di 111,68 miliardi, grazie a un export in crescita del 5,9% e a un import quasi fermo (+1,9%). Numeri che confermano una tendenza già in atto, ma che il mondo dell’impresa interpreta in modi diversi.
Per Augusto Cosulich, presidente e amministratore delegato della Fratelli Cosulich, la Cina può però essere un motore di sviluppo e non solo una minaccia. «Noi abbiamo iniziato a collaborare con Cosco più di trent’anni fa», ricorda, «e quella relazione è diventata una partnership che ci ha permesso di crescere ben oltre i confini italiani. Io non credo affatto al rischio di un’invasione indiscriminata di prodotti cinesi: al contrario, penso che questa possa essere una grande opportunità per le aziende europee». E porta ad esempio la joint venture Coscos, evoluta nel 2024 con l’acquisizione del 100% di Trasgo, che per Cosulich è un modello replicabile: «Cosco ci ha spinto a guardare all’Europa come piattaforma di investimento», spiega, «è la prova che si può crescere insieme, ma serve coraggio: gli imprenditori devono essere disposti a investire risorse proprie, non solo a cercare protezione. La Cina vuole investire in Italia e in Europa per creare valore aggiunto».
Pavin, invece, osserva lo stesso scenario dalla prospettiva della manifattura schiacciata dal prezzo cinese. «Premetto che non ho nulla contro la Cina e le sue mire espansionistiche in economia ma parto da un dato dell’Applia, l’associazione dei produttori elettrodomestici», spiega, «nel 2023 il 13% degli elettrodomestici acquistati in Europa non era prodotto qui, ma in Asia. Nel 2024 questa quota è balzata al 40% e nel 2025 sarà probabilmente ancora più alta. Questo perché la Cina ha installato una capacità produttiva enorme, che il mercato interno non può assorbire. Risultato: ondate di prodotti sottocosto che spiazzano l’industria europea».
Il rischio, secondo l’imprenditore padovano, non riguarda solo il presente. «L’Europa», sottolinea Pavin, «deve decidere quanto è importante per lei la manifattura. Io credo che non possiamo scendere sotto un peso del 18% del Pil. Altrimenti si rischia di seguire la stessa sorte degli Stati Uniti dove, con la morte del manifatturiero, è morta la classe media. Non possiamo ripetere lo stesso errore».
Sulle mosse americane invita invece alla cautela: «Le posizioni di Trump vanno prese con le pinze. Ma una cosa è certa: gli Usa non possono prescindere da un rapporto privilegiato con l’Europa. Il problema è che se l’Europa non trova un modo per agire con decisione e unità, rischiamo il collasso di interi settori industriali. Guardiamo alla crisi dell’automotive tedesco: se cade quello, crolla mezza Europa». Il suo messaggio politico è esplicito: «La politica industriale europea deve cambiare rotta, smettere di essere subordinata agli interessi di singoli Stati. Serve una visione di lungo periodo che tuteli la manifattura, investa davvero in innovazione e garantisca una concorrenza leale».
Le posizioni di Cosulich e Pavin si incrociano con i dati strutturali del commercio mondiale. L’enorme avanzo cinese è anche il prodotto di una rotazione delle rotte globali: le esportazioni verso gli Stati Uniti sono crollate del 28,6% a novembre, mentre l’export verso l’Unione europea è aumentato del 14,8%, assorbendo parte dell’eccesso produttivo cinese.
Il surplus per Pechino è ora una leva strategica: finanzia la scalata tecnologica, consolida standard industriali, genera dipendenze commerciali. La guerra tariffaria americana non l’ha fermata, ma accelerata: le filiere cinesi si sono riorganizzate con una rapidità che l’Occidente non riesce a replicare. E l’Italia e il Nord Est si trovano esposti su due fronti: come mercato di assorbimento e come potenze manifatturiere vulnerabili.
Riproduzione riservata © il Nord Est








