Le imprese del Nord Est in pressing sul governo: «Serve una scossa»
In vista della manovra, la richiesta a Giorgetti di misure per lo sviluppo e la ricerca: «All’estero sostengono la manifattura con aiuti diretti e tagli ai costi energetici»

«Non ci serve un ministro da copertina». La battuta di Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, durante l’assemblea congiunta di Verona e Vicenza sabato a Gambellara, è suonata come un avvertimento. L’ironia nascondeva infatti un messaggio preciso e dava voce agli umori del mondo produttivo del Nord Est, ancora una volta termometro della base industriale del Paese, che non vuole slogan né comizi, ma una manovra economica capace di rilanciare crescita e competitività.
La tensione tra imprese e governo, e in particolare con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che sabato ha dato forfait all’ultimo minuto, è ormai evidente. Gli industriali del Nord Est volevano ascoltare dalla voce del guardiano dei conti pubblici le misure con le quali il governo intende riaccendere il motore dell’economia reale, stretto tra i costi dell’energia più alti d’Europa e misure come Transizione 5.0 che ad oggi non hanno avuto effetto.
A guidare il fronte più esplicito è Paola Carron, presidente di Confindustria Veneto Est: «Il Paese cresce a ritmi prossimi allo zero, al netto degli effetti del Pnrr. Senza nuovi investimenti produttivi non può esserci sviluppo né competitività».
«Le imprese», avverte, «non hanno più tempo da perdere. La priorità dunque è rifinanziare e semplificare Transizione 5.0, che disponeva di 6,3 miliardi solo parzialmente utilizzati e in scadenza a fine anno. È uno strumento strategico, ma deve diventare accessibile, con procedure snelle e tempi certi: le aziende devono infatti poter programmare i loro investimenti».
Carron indica anche i nodi tuttora irrisolti: «L’Ires premiale oggi è quasi impraticabile, bisogna renderla efficace premiando gli utili reinvestiti e la patrimonializzazione. Allo stesso tempo va stabilizzato il credito d’imposta per ricerca e sviluppo, che è un motore essenziale del riposizionamento competitivo. E va rifinanziato il Fondo di garanzia per l’accesso al credito, che moltiplica fino a 15 volte le risorse pubbliche».
Sulla stessa linea Michelangelo Agrusti, presidente di Confindustria Alto Adriatico. «Sappiamo che le risorse sono scarse», spiega, «ma quando si cucina la manovra bisogna individuare le priorità. L’industria è un asset strategico: se il tesoretto viene invece polverizzato in mille rivoli, si fa poca strada». Agrusti invita quindi a prendere esempio da ciò che accade fuori dai confini nazionali. «Germania e Spagna stanno sostenendo le loro manifatture con aiuti diretti e tagli ai costi energetici», sottolinea il presidente di Alto Adriatico, «l’Italia non può limitarsi a misure simboliche. Serve una strategia industriale, non una lista di bonus».
Orsini, che lunedì avrà un incontro con il governo, ha poi voluto rincarare la dose («Se non si mette l’industria al centro non si vuole bene al Paese»). Dietro le parole del presidente di Confindustria c’è il timore che la manovra da 16 miliardi si disperda in bonus e micro-interventi, senza incidere sui nodi strutturali. Una legge di bilancio “a coriandoli”, come la definiscono molti, più utile a moltiplicare consensi che a stimolare investimenti.
«Il governo deve avere il coraggio di rimettere l’industria al centro», spiega Luigino Pozzo, presidente di Confindustria Udine, «l’Italia spende troppo poco in innovazione, appena 30 miliardi l’anno, un terzo di quanto in proporzione investono gli Stati Uniti. La politica energetica va costruita a livello europeo, diversificando le fonti e abbattendo il differenziale dei costi. E su Transizione 5.0 serve una vera sburocratizzazione: troppi vincoli frenano chi vuole investire».
Gli imprenditori allora chiedono un piano triennale da 8 miliardi l’anno per sostenere innovazione, patrimonializzazione e manifattura. Per ora la tensione resta alta ma non esplode ancora in una rottura. Orsini infatti evita lo scontro diretto con Giorgia Meloni («So che la presidente del Consiglio è vicina alle imprese»), consapevole che la partita si gioca più a Palazzo Chigi che in via XX Settembre. Tuttavia, il segnale che parte dal Nord Est è inequivocabile: la pazienza si sta esaurendo. Perché, come ha detto Barbara Beltrame Giacomello, presidente di Confindustria Vicenza, «non siamo terra di conquista e la nostra fiducia si guadagna».
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