NaturaSì, Brio e Rigoni di Asiago, le aziende venete che fanno scuola nella produzione biologica

Se in termini di superfici dedicate all’agricoltura biologica la regione non brilla, vanta invece molti casi di aziende leader nella trasformazione e produzione di prodotti bio. Marchi apprezzati non solo in Italia
epa06854449 Irrigation of a rice field in the Maggia Delta near Ascona, Switzerland, 01 July 2018. Rice has been cultivated in Ticino for several years. The "Riso Nostrano Ticinese" has established itself as a local niche product. EPA/SAMUEL GOLAY IMAGE TAKEN WITH A DRONE
epa06854449 Irrigation of a rice field in the Maggia Delta near Ascona, Switzerland, 01 July 2018. Rice has been cultivated in Ticino for several years. The "Riso Nostrano Ticinese" has established itself as a local niche product. EPA/SAMUEL GOLAY IMAGE TAKEN WITH A DRONE

PADOVA. Con più di 80mila operatori e una percentuale di superfici dedicate al biologico di oltre il 16%, il doppio rispetto alla media europea, l'Italia è decisamente uno dei Paesi leader nella produzione bio, tanto da posizionarsi secondo al mondo, dopo USA, e primo in Europa per l'esportazione di prodotti organici, con oltre 2,9 miliardi di euro, circa il 6% di tutto l’export agroalimentare nazionale.

Nonostante ciò, non sono bastati 13 anni di dibattiti e tre passaggi parlamentari per approvare il Ddl 988 «Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell'acquacoltura con metodo biologico», la legge di riordino del settore.

Lo scorso 9 febbraio 2022, accogliendo all'unanimità gli emendamenti che tolgono il termine biodinamico (comma 3 dell'articolo 1), la Camera dei Deputati ha infatti l’ha rimandato al Senato per l’approvazione finale. Come si dice in questi casi, speriamo bene, anche alla luce delle strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” dell’Unione Europea che si è data l'obiettivo di ridurre del 50% l'uso dei pesticidi e degli antibiotici e, contemporaneamente, triplicare la superficie coltivata con il metodo bio.

Uno scenario complicato quindi, ma molto interessante per i nostri produttori. «E molto interessante per il Veneto» segnala Roberto Pinton, padovano, storico del settore biologico, unico italiano a sedere nel Board, il Comitato esecutivo, di IFOAM Organics Europe, la Federazione delle associazioni bio intereuropee, quindi anche dei paesi dell’Est, forte di 200 soci di ben 34 paesi.

Il Veneto bio

La posizione del Veneto è veramente topica. Le superfici coltivate bio in regione al 31 dicembre 2020, fonte Veneto Agricoltura su dati Sinab, ammontano a 45.999 ettari, solo il 5,9% del totale nazionale. Le principali superfici biologiche in Veneto (dati 2019), sono relative a cereali (12.086 ettari, 25%), vite (7.990 ettari, 16,5%), colture industriali (6.811 ha, 14,1%), colture foraggere (5.883 ha, 12,2%), frutta (3.126 ha, 6,5%) e ortaggi (1.854 ha, 3,8%); le altre colture hanno meno di 1.000 ettari ciascuna.

Ma c’è qualcosa che fa riflettere: la superficie regionale coltivata a biologico, circa 46.000 ha, è in calo del -4,8%, dato in controtendenza rispetto al nazionale, dove gli ettari sono invece in crescita del +5,1% (2.095.380 ha). Medesimo l’andamento degli operatori bio, che in Veneto sono 3.808 (-4,1%), circa il 4,7% dei nazionali (81.731, +1,3%).

«Il discorso si farebbe lungo – spiega Pinton - ma va detto che il biologico veneto, anche se non brilla dal punto di vista della produzione, è il faro per quanto riguarda la trasformazione e la distribuzione del prodotto organico, dove siamo leader. Qui, forse in forza dei movimenti per l’ambiente avviati negli anni ’70 attorno ad esperienze cooperative e associazionistiche, si sono formati dei coaguli che, grazie all’intelligenza, il dinamismo e le capacità manageriali venete, hanno saputo imporsi quali riferimento nazionale e internazionale. Molte sono le realtà, anche piccole ed ai più sconosciute, che esportano prodotto biologico in oltre 40 paesi nel mondo. E poi venete sono imprese come NaturaSì, Brio e Rigoni di Asiago, che tutti conoscono e che controllano fette importante di mercato anche surclassando il convenzionale».

Il primato veneto, tre casi: Rigoni di Asiago

«Beh, si, risponde il Presidente del Gruppo, Andrea Rigoni – felice per l’8° titolo nazionale appena vinto dall’Asiago Hockey di cui è tifosissimo -, noi abbiamo cominciato con il miele, e con le confetture abbiamo raggiunto dei risultati impensabili. Sono convinto che ciò sia legato anche al riconoscimento della qualità del nostro lavoro, perché operare nel biologico non è semplice, come è complesso mantenere la clientela». Considerato che vi misurate anche con chi produce “convenzionale”, non sarà complicato, come chiede Bruxelles, il raggiungimento del 25% di prodotto bio entro il 2030? «Vorrei premettere che “biologico” non è una opzione di marketing, almeno per noi – afferma Rigoni -. Chi opera in questo segmento ha dietro le spalle una storia personale e societaria di attenzione al prodotto, alla filiera, al consumatore e all’ambiente. In Italia dobbiamo molto crescere nell’ottica green; e quindi una cosa sarà produrre il 25%, obiettivo anche raggiungibile, altra sarà consumare il 25%, quindi vendere, cioè raggiungere complessivamente quella quota di mercato col biologico. Sostenibilità, contrasto al cambiamento climatico, l’uso dei fitofarmaci, sono target che fanno parte di una vision che solo se condivisa può portare al raggiungimento degli obiettivi importanti chiesti dalle strategie adottate dalla UE».

EcorNaturaSì

Questa sottolineatura, diciamo di rispetto ambientale in una logica culturale, è sottolineata anche da Fabio Brescacin, Presidente di EcorNaturaSì, realtà frutto dell’unione tra Ecor (Conegliano) e NaturaSI (Verona), che parte dai numeri..

«Guardi, il fatturato consolidato 2020 del nostro Gruppo è stato di 471 milioni di euro, con circa 500 negozi serviti di cui 330 a marchio NaturaSì, 300 aziende agricole biologiche e biodinamiche fornitrici, di cui 6 socie o partecipate. Dall’anno scorso siamo diventati una società benefit. Nel nostro Bilancio di sostenibilità 2020 scriviamo tra l’altro, che sono 7.000 gli ettari di ecosistema agricolo seguito direttamente da NaturaSì fin dalla semina, con circa 300 aziende agricole biologiche e biodinamiche collegate».

«L’obiettivo – prosegue - è raggiungere i 9.000 ettari entro il 2026; e che il 90,46% di energia delle sedi e dei negozi NaturaSì proviene da fonti rinnovabili; puntiamo al 100% in due anni. Tutto ciò per essere coerenti con i valori che da sempre hanno supportato la nostra attività. Ma c’è molto da fare, molto. La legge in discussione può essere utile, auspichiamo che venga approvata al più presto. Ma il fattore culturale è quello più importante».

Quindi? «È certo che con una Italia in crisi, nella quale ci troviamo, il calo dei consumi lo certifica, non è pensabile per una famiglia approcciarsi al prodotto organico che certamente ha un costo più impegnativo. Il biologico in Italia conta il 3% dei consumi. La spesa media in bio in Italia è di circa 50 euro procapite, in Svizzera raggiunge i 300 euro, e non è solo per il differente potere d’acquisto, che ha il suo peso…».

Le difficoltà del Gruppo in questo periodo provengono proprio da questa situazione. «Dopo anni di crescita – sottolinea Brescacin – abbiamo dovuto accedere alla cassa integrazione per alcuni nostri collaboratori. Crediamo si tratti di una situazione passeggera, il biologico continuerà a crescere, ma serve una iniziativa più vigorosa nella direzione della promozione del prodotto biologico. Forse la campagna di informazione che sta programmando ISMEA aiuterà in questa direzione. Ma noi siamo fiduciosi».

Brio

Sulla stessa linea, non propriamente entusiasta, Andrea Bertoldi, veronese, 57 anni, Direttore di Brio, realtà imprenditoriale specializzata da una trentina d’anni nella produzione e commercializzazione di prodotti ortofrutticoli e freschi biologici nel mercato italiano ed estero. Una S.p.A. che nel 2021 ha fatturato 64 mln di euro (+10% sul 2020), conta 40 dipendenti e 500 aziende agricole socie produttrici in 14 regioni italiane, esporta ben il 50% (Germania, Svizzera, Austria, Paesi Scandinavi, Belgio, Olanda principali Paesi UE); partners e soci: Alce Nero, Gruppo Apo Conerpo, Agronomi e tecnici.

«Anche per noi – rimarca Bertoldi -, che ci riteniamo pionieri nel settore del biologico in Italia, preservare la biodiversità e la natura, tutelare la salute e perseguire un modello economico sostenibile mettendo al centro i produttori, sono i valori di riferimento e la nostra missione. E le confermo che ci sono le possibilità per raggiungere obiettivi ambiziosi. Noi operiamo specialmente nell’ortofrutta e dal 2014 siamo in Agrintesa, quindi la costola bio di questo grande, il più grande, gruppo ortofrutticolo europeo. Qui convivono il convenzionale e l’organico. La nostra mission è, mi passi l’immagine, infettare positivamente il convenzionale. Lo sviluppo del settore biologico, quindi il raggiungimento degli obiettivi che si è anche data l’Unione Europea per il 2030, passa attraverso la conversione del convenzionale».

«Ecco perché siamo entrati in Agrintesa, ci eravamo accorti che non riuscivamo più a “convertire convenzionale”. E guardi che ci sono vantaggi per tutti, consumatori e produttori, specie per noi italiani. C’è bisogno di una caratterizzazione forte dei prodotti per uscire dalla logica delle commodities, anche per spuntare prezzi più alti, cosa che il convenzionale non riesce a fare»

Forse è proprio il momento giusto, infatti anche una organizzazione storica e potente come Coldiretti ha deciso di far nascere “Coldiretti Bio”, una sorta di task force di aziende ed esperti per un settore che a livello nazionale vale 7,5 miliardi di euro tra consumi interni ed export. L’organizzazione professionale agricola ricorda che «nell’ultimo decennio le vendite bio totali sono più che raddoppiate (+122%) secondo dati Biobank». E che «i cibi e le bevande stranieri sono sei volte più pericolosi di quelli Made in Italy con il numero di prodotti agroalimentari extracomunitari con residui chimici irregolari pari al 5,6% rispetto alla media Ue dell’1,3% e ad appena lo 0,9% dell’Italia (dati Efsa)».

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