L’economista Chiara Mio: «Sul lavoro delle donne, troppi gli imprenditori ancora guidati da pregiudizi»

«Il Nord Est è composto da una comunità molto avanzata dal punto di vista della sensibilità imprenditoriale. Ma credo che in questa fase la motivazione di mercato stia prevalendo sull’etica»: parla la professoressa a Ca’ Foscari e prima donna alla guida di una banca commerciale come presidente di FriulAdria
Giorgio Barbieri
Chiara Mio
Chiara Mio

«Il Nord Est è composto da una comunità molto avanzata dal punto di vista della sensibilità imprenditoriale. Ma credo che in questa fase la motivazione di mercato stia prevalendo sull’etica. E questo perché gli imprenditori si sono finalmente resi conto che le donne sono molto positive nella creazione del valore. Quindi va bene se analizziamo la cosa dal punto di vista dei risultati, ma se dovessimo fare un’analisi sociologica non credo che troveremo a Nord Est una situazione diversa rispetto ad altre parti d’Italia».

Ne è convinta l’economista Chiara Mio, professoressa a Ca’ Foscari e prima donna alla guida di una banca commerciale in qualità di presidente di FriulAdria. Il suo dunque è un osservatorio privilegiato, dato che descrive ciò che osserva quasi quotidianamente visti i suoi numerosi incarichi in consigli di amministrazione di aziende quotate.

Nonostante ci siano ancora forti disparità sui tassi di occupazione, le aziende del Nord Est sono tra le prime in Italia per certificazioni sulla parità di genere. Un buon segnale?

«La lettura sul genere va fatta prendendo in considerazione tre elementi: il tasso di attività, ossia quante donne dichiarano di essere disposte a lavorare, il tasso di occupazione e disoccupazione e infine come le donne vengono impiegate e pagate. Sul tasso di attività ci sono ancora troppe donne che si formano ma che successivamente rinunciano alla carriera. E questo sì è un problema che chiama in causa il patriarcato, perché accettiamo che sia considerato normale che siano prevalentemente le donne ad occuparsi della famiglia. Questo però è un tema culturale che non si modifica a breve termine».

Anche per quanto riguarda i tassi di occupazione i numeri non sono confortanti.

«I dati mostrano che nei casi di crisi aziendali sono sempre le donne a uscire dal mercato del lavoro più facilmente, cosa che dimostra prima di tutto una modalità di approccio alla risorsa umana ancora caratterizzata da pregiudizi. Dobbiamo anche aiutare le aziende a capire che se dimostra solidarietà, ossia si mette in campo una strategia di lungo termine, la risorsa umana femminile restituisce tutto quello che ha ricevuto».

Resta poi il tema dei salari.

«Il gender pay gap è la grande ingiustizia, ma se si vuole si può eliminare subito. Mentre richiede lunghi processi culturali modificare ciò di cui abbiamo parlato fino ad ora, per il gender pay gap si tratta solo di prenderne atto e di agire. Invito gli imprenditori a vedere le statistiche all’interno delle loro aziende: in media, a parità di livello gerarchico, le donne guadagnano meno. Le situazioni storiche non si possono sanare in poco tempo, ma si può intervenire sugli assunti negli ultimi anni e apportare correttivi sulla velocità di carriera e sul gender pay gap».

A livello manageriale le cose non vanno meglio. Sono infatti poche le donne presenti nei board delle Top 100 aziende del Nord Est.

«La situazione è ancora più critica se si enucleano le appartenenti alla famiglia: per merito pochissime arrivano ai vertici, il soffitto di cristallo è molto spesso. In questo senso il Nord Est è messo molto peggio della Lombardia».

È un problema che riguarda i passaggi generazionali?

«Siamo una comunità “geronto-centrica”: fino ai 40 anni si ritiene giovane e inesperto l’interlocutore (o l’interlocutrice). Se poi è una giovane donna, i fattori critici si amplificano e il pregiudizio prevale sulla razionalità. Troppo spesso l’imprenditore continua a ragionare con schemi del passato. Lo fa certamente in buona fede, dato che fino a poco tempo fa era circondato solo da maschi. Quindi fa ancora fatica a dialogare con un genere che portava il caffè o batteva a macchina i verbali. Per alcuni è durissima pensare che la gonnella possa dire cose sensate».

Come cambiare le cose?

«L’appello è sicuramente a imprenditori e manager per intervenire subito sul gender pay gap. Ma una responsabilità enorme ce l’hanno anche le mamme che devono educare in maniera diversa da come sono state educate. Per cui le mamme di figlie femmine devono pensare che le figlie sono toste e dare loro la fiducia per ambire a ruoli importanti. E quelle di figli maschi non devono essere indulgenti e in adorazione. Analogamente i padri devono esortare le figlie a percorrere sentieri sfidanti, devono apprezzare la determinazione delle figlie».

Il Pnrr può aiutare?

«Nella politica europea la parità di genere è importantissima e in questo caso l’Italia è stata obbligata a lavorarci. In un certo senso, dovendo spendere secondo le coordinate europee, ci tocca. Ed è un bene». —

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