«Lavoro, servono più ispettori per far rispettare le norme»

Presentato a Verona il volume “Made in immigritaly”, il primo rapporto sui lavoratori immigrati nell’agroalimentare della Fai Cisl 

Edoardo Bus
Braccianti al lavoro - Operazione condotta da Inps, Finanza e Procura, scoperta maxi truffa per falsi braccianti, evase somme per un totale di 830 mila euro, denunce per 195 lavoratori fittizi, Castrovillari (Cosenza), 14 giugno 2019. ANSA/ QUOTIDIANO DEL SUD
Braccianti al lavoro - Operazione condotta da Inps, Finanza e Procura, scoperta maxi truffa per falsi braccianti, evase somme per un totale di 830 mila euro, denunce per 195 lavoratori fittizi, Castrovillari (Cosenza), 14 giugno 2019. ANSA/ QUOTIDIANO DEL SUD

Sfruttamento, lavoro nero, violenza, mancanza di alloggio. È la situazione in cui vivono almeno 250mila immigrati che lavorano da stagionali in agricoltura nel nostro Paese. In Veneto le cose vanno un po’ meglio e ci sono anche casi virtuosi, ma è evidente che il recente caso di Satnam Singh, il lavoratore indiano morto dopo che aveva perso un braccio sul lavoro a Latina, non è certamente un caso isolato.

È quanto denuncia il volume “Made in immigritaly”, il primo rapporto sui lavoratori immigrati nell’agroalimentare, ponderoso lavoro della Fai Cisl presentato oggi a Verona, che si propone di essere un’operazione verità per il lavoro dignitoso nell’agroalimentare.

Il libro è diviso in tre parti: lo scenario, nove studi di casi locali e le prospettive future. Lo scenario è drammatico. “Le norme per la tutela dei lavoratori – spiegano Andrea Zanin e Gianfranco Refosco, segretari generali rispettivamente di Fai Cisl e di Cisl – ci sono, come la legge 199 del 2017, ma il problema è che non vengono fatte rispettare per mancanza di sanzioni e di ispettori che accertino le violazioni. Ci vorrebbe una precisa volontà politica per combattere l’illegalità, ma la realtà dice che oggi gli ispettori in Veneto sono un decimo di quelli che erano 15 anni fa”.

Eppure, la tecnologia ha fatto passi da gigante, per cui utilizzando i droni per rilevare i lavoratori impiegati nei campi ed incrociando i risultati con le banche dati si potrebbero ottenere informazioni importanti. Insomma, l’indignazione non basta più e bisogna agire.

“Nei nostri incontri con i Ministeri del Lavoro e dell’Agricoltura – racconta Onofrio Rota, Segretario Generale Fai-Cisl nazionale – abbiamo chiesto tre cose precise: più ispettori, la certificazione della regolarità delle aziende agricole con il DURC (documento unico di regolarità contributiva) e l’incrocio tra le banche dati disponibili. Si otterrebbero risultati, ma è anche chiaro che il Decreto flussi è da rivedere, considerando che almeno 250mila lavoratori in agricoltura sono irregolari che dopo la stagione entrano in clandestinità”.

Lavoratori che, lo dice chiaramente la ricerca, rendono possibile parlare di “Made in Italy” in agricoltura, che senza questa manodopera in gran parte non esisterebbe, da cui il titolo “Made in immigritaly”. Sono tanti, un milione, e di questi 362mila sono stranieri. Garantiscono all’agroalimentare italiano un fatturato di 600 miliardi. Ma ben due quinti delle ore da loro lavorate in un anno sono irregolari, 300 milioni su 820milioni. Stranieri irregolari sono facilmente preda dei cosiddetti “caporali” che ne gestiscono il lavoro e in alcuni casi arrivano a sottrarre loro denaro dalla busta paga.

Per questo la Cisl ha introdotto un numero verde a cui, in totale anonimato, si possono denunciare casi di abusi. “Sos caporalato” risponde al numero 800.199.100. Venendo agli esempi locali il libro si sofferma su un capitolo dedicato al Veneto, dove lavorano 67.253 addetti agricoli (la regione che ne ha di più è la Puglia con 156.595) e dove gli stranieri sono soprattutto rumeni, che però stanno diminuendo a favore di africani ed asiatici. In regione, dicono in Cisl, ci sono più luci che ombre e spiccano i casi positivi della coltivazione del vino in Valpolicella, provincia di Verona, e dall’asparago nella bassa padovana, tra i Comuni di Pernumia e Monselice.

In Valpolicella il bacino lavorativo attinge per l’85/90% a manodopera migrante, soprattutto con una presenza pluriennale di lavoratrici rumene stagionali, stabilizzate da un punto di vista contrattuale. Lo stesso accade in provincia di Padova, ma con una quota maggiore di migranti di origine africana stabili, che comunque sono ospitati in container abitativi muniti di tutti i servizi e con pacchetto assicurativo completo. Insomma, qui non ci sono baraccopoli e sfruttamento con paghe da fame, anche se – confessano in Cisl – non mancano casi di lavoro “grigio”, in cui le ore lavorate e registrate regolarmente in busta paga sono poche rispetto a quelle pagate in nero e soprattutto senza versare un euro in tasse. Le conclusioni del volume lasciano qualche speranza per il futuro, che arriva soprattutto dal numero di stranieri immigrati che è riuscito a diventare imprenditore, affrancandosi da una condizione di “servo della gleba”. Oggi sono 26.178 e sono raddoppiati rispetto a undici anni fa.

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